5 settembre 2017

Oggi, no.

Disegno di Valentina Luberto
Tanto tempo fa facevo una cosa: quando ero triste mi scrivevo una favoletta e mi sentivo subito meglio; ne ho scritte tante, le ho perse tutte perché ho sempre avuto la convinzione che il meglio sarebbe sempre venuto dopo. Dopo cosa? Dopo e basta. In quel periodo scrivevo solo per me e scrivevo come se fossi stata in uno spazio pieno di colori da usare e di muri da poter imbrattare. Nonostante fossi triste - per questo mi scrivevo le favolette - alla fine, un sorriso si disegnava sulle labbra; era piccolissimo, non riempiva neanche un taschino, però era lì e per me era il più bello del mondo. Nelle mie favole c’erano, e spesso ci sono ancora, due buffi personaggi speciali che, a causa della loro originalità, fanno fatica a trovare qualcuno con cui sentirsi così a casa da gironzolare scalzi, infischiandosene dei piedi che si sporcano. Insomma, spesso i miei personaggi hanno qualcosa da voler condividere, qualcosa che per loro è prezioso, che non tutti potrebbero capire e tengono segretamente stretta nel cuore la speranza che, un giorno o l’altro, incontrino qualcuno che, con una sola occhiata, capisca tutto quello che c’è da capire e sussurri: “Adesso ci sono io con te”.
Un giorno, ho continuato a scrivere solo per me, ma permettendo agli altri di leggere. Forse, mi sentivo come uno dei miei personaggi originali che si guardano intorno, poi aprono il palmo delle mani, come se questo custodisse il più grande dei segreti, e, in quell’istante, sperano che qualcuno abbia visto tutto con un colpo d’occhio veloce e che, quel qualcuno, si avvicini sussurrando: “Adesso ci sono io con te”. Nella vita reale è successo poche volte, nelle mie favole succede sempre.
Una volta, ho scritto una storia in cui i protagonisti si incontravano e aprivano entrambi i palmi delle mani per scambiarsi i loro segreti in quell’istante in cui solo un occhio velocissimo riesce a vedere ciò che c’è da vedere. I due personaggi non rimanevano insieme. Sulle prime, questa mi era sembrata la scelta migliore, poi, nel tempo, ho pensato e ripensato a quella storia e proprio non ci stavo all’idea che quei due personaggi si fossero lasciati così, certo, con un sorriso, ma io non posso farci niente: gli addii mi fanno arrabbiare, anche quando è giusto che ci siano. Dicevo, pensando e ripensando, ho iniziato a scrivere il seguito di quella favola: i due personaggi erano peggio di me, proprio non volevano dirsi addio. Non l’ho mai finita, forse perché nessun finale mi sembrava il loro finale, così, tra me e me, ho pensato: “Un giorno lo troverò e questa favola sarà completa”. Non l’ho ancora trovato, spesso rileggo quelle poche righe scritte e cerco di continuare. Una parola, due, tre, qualche volta, quattro e cinque e poi: stop. Torno indietro, cancello tutto e penso: “Un giorno troverò il finale, oggi no”.
Oggi è stato uno di quei giorni in cui avrei voluto scrivermi una favoletta, una di quelle con qualcuno che si avvicina e ti dice: “Adesso ci sono io con te”, tu lo guardi come si guarda un sogno a cui non sai se credere, così bello che terresti gli occhi chiusi per il resto della tua vita.
Ho ripensato a quella favola che non riesco a finire e ho detto a bassissima voce: “Un altro giorno, so che mi verrà in mente all'improvviso ed io mi chiederò come mai non ci abbia mai pensato. Oggi, però, davvero no”.



[le favole sono fatte per scappare, sono funi invisibili pronte ad ancorarsi a grate fumose]



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