20 novembre 2012

L'uomo dal profilo sinistro


Julio Ojea



Cade la pioggia. Pesante. Batte. Una goccia alla volta. Silenzio, un solo istante. Musica nelle cuffie e movimento della porta scorrevole. Si apre. Due gradini. “Un biglietto per la città”. “Tenga il resto”. Un passo, due, tre. Quinto sedile sulla destra, lato finestrino. Sedile comodo, non molto sporco. Finestrino vissuto, per non dire lercio. Non voglio essere sincera, non solo con il finestrino. My shadow's only one that walks beside me/ My shallow heart's the only thing that's beating/ Sometimes I wish someone out there will find me. Disegno, distratta, un punto interrogativo sul finestrino, gli regalo pochi centimetri di visione nitida. Me ne pento subito. Volto lo sguardo e ti ritrovo. Sei seduto allo stesso posto, come sempre. L’uomo dal profilo sinistro, ti chiamo così. È l’unica parte che conosco di te: il tuo profilo sinistro. Hai un bel naso, lo sai perché lo mostri con fierezza, spingendo il mento in fuori e lasciando che la tua vigile coda dell’occhio raccolga gli apprezzamenti muti degli sguardi curiosi. Rubano pezzi di te. Ci sono anche i miei, non lo sai. Non devi dormire molto la notte, quell’effetto smoke sotto gli occhi non riuscirei a ottenerlo nemmeno con ore e ore di trucco. Non hai nessun legame serio, a meno che tu non lo nasconda. La tua mano sinistra non ha nessun punto luce dorato che rifletta l’esistenza di un vincolo noto. Sul cuore, non so, non dico. Vira a sinistra anche lui, ma è coperto dalla camicia azzurra, gli dona serenità. Ti dona. Hai delle belle mani. Spesso stringi una penna che fai scivolare, sicura, su un quaderno nero. Sei mancino, posso rubare attimi alla tua mano che racconta i tuoi pensieri. Scrivi pensieri, niente di banale. Questo non lo so, ma assomiglio tanto a questo finestrino che ha perso ogni possibile oggettività tra la polvere che lo difende. Ho tracciato qualche punto interrogativo, ma nessun centimetro di visione nitida. Sto bene così. Suoni uno strumento, probabilmente il piano. Hai le dita affusolate e lunghe e tieni il tempo con il piede come un consumato musicista. Mi piacciono le melodie che componi. Almeno quelle con cui regali un suono alla mia giornata quando ti vedo. Non ti ho mai visto parlare al telefono. Sono fortunata, sarei stata gelosa. Per questo tempo e in questo spazio la tua metà sinistra mi appartiene, l’altra metà può fare quel che vuole. Io posseggo quella più importante, quella in cui vivi. Siedi sempre sul sedile esterno, non hai bisogno di finestrini impolverati, tu. Sorridi, non un sorriso largo, ma una di quelle smorfie che uniscono gli angoli della bocca ai lobi delle orecchie. Lo fai lentamente, come si fanno tutte le cose preziose. Hai una fossetta sulla guancia, raccoglie tutte le tue malinconie affondandole con discrezione nel tuo sorriso. Distolgo lo sguardo dalla tua figura a metà e lo rivolgo al finestrino: so tutto quello che c’è da sapere di te, penso. Frenata brusca, l’autista è sovrappensiero. Tu non scendi. È la tua fermata e non scendi. Frenata decisa, l’autista ha fatto tesoro delle invettive del passeggero del terzo sedile. È la mia fermata. Afferro la borsa, mi alzo senza far rumore. Qualche passo in avanti e potrei guardarti negli occhi. Pochi passi e tu mi guarderesti. Passo incerto sul corridoio rivestito di gomma. Mi fermo."Buona giornata". Non rispondo. Porta scorrevole. Un gradino, due, tre. Musica nelle cuffie. My shadow's only one that walks beside me/ My shallow heart's the only thing that's beating/ Sometimes I wish… Mi sveglio. Tu dormi, sul lato destro, quello che vedo tutte le mattine appena sveglia, mentre lascio nel sogno l’unica parte di te che mi appartiene.


My shadow's only one that walks beside me
My shallow heart's the only thing that's beating
Sometimes I wish someone out there will find me.

La mia ombra è l'unica che cammina accanto a me
Il mio profondo cuore è l'unica cosa che batte
Qualche volta desidero che qualcuno là fuori mi trovi


[Boulevard of Broken Dreams, Green Day]


18 novembre 2012

più in là

Time and consciousness, Monique Jarry


Avvicinati, un po’ di più. Raggiungi la linea di confine fino a perderla. Non cercarla, sarà lei a cercare te. Ti troverà nell’istante in cui ti fermerai a un palmo dal punto in cui l’anima straripa. O ti perderà per sempre, nell’attimo in cui non riuscirai a ritrovarti. Avvicinati, un po’ più in là. Dove il sole invidia la luce liquida dell’uno che si è sciolto nel due. Non c’è nessuna linea di confine, non più. Avvicinati, finché vuoi, finché possiamo. Non lasciamo al sole neppure una goccia di luce. È tutta per noi. Ho paura del buio, mi fido di te.

  

13 novembre 2012

dintorni

Brilliance of life, Yayoi Kusama




Certe volte basta che parta una canzone, una come quella che stai ascoltando in sottofondo che poi lo sai che non sarà mai sul serio la stessa che ho scelto per scrivere quello che stai leggendo o forse sì.Tanto non te lo dico. È che mica solo io faccio cose senza senso, l’Universo, ultimamente, sta facendo davvero tanta confusione. Spero non pretenda che io lo capisca perché no, non lo capisco. Mica non capisco solo l’Universo, ci sono così tante (troppe) cose che da un po’ più di un po’ non mi sono chiare, ma me ne sto facendo una ratio. La verità è che una volta tanto la ratio vorrei buttarla dalla finestra insieme a tutti i loop dell’Universo e alle cose sospese. Vorrei ridere senza dover trattenere il respiro tra un puntino e l’altro, mordere un’affermazione e mandarla giù. Se è amara non fa niente, tanto a me le cose troppo troppo dolci non piacciono. Tranne la pignolata messinese, quella sì che mi piace,anche se è una di quelle cose troppo troppo dolci, ma non fa niente. Mi piacciono tante altre cose, come la parmigiana di mamma, per esempio oppure la pizza di nonna, Elisa quando ride, papà che aggiusta le cose e io penso tutte le volte che è bello che ci sia lui che le sa aggiustare. Ah, vero… all’inizio era partita una canzone. Son partite anche tante altre cose e alcune non ritorneranno mai. E lo so che “mai dire mai”, ma qualche volta un “forse” non basta e, quando non se ne accorge nessuno, lo sostituisci con un “mai” e scappi via per non farti beccare. Tanto, poi, se qualcuno vuol trovarti ti becca lo stesso e chi s’è visto s’è visto (ti ha visto anche se ti sei nascosto in quel posto che nessuno sa). Io mi nascondo, tra un puntino e l’altro, ma soltanto tre non mi bastano. Se proprio devono esserci i puntini che siano tanti quanti tutte le figure che posso disegnare unendoli, che siano tutte le strade che posso tracciare alla ricerca di nascondigli dimenticati, che siano solo tante piccole luci così che tutte le volte che ho paura possano farmi compagnia. Ho paura del buio e di tante altre cose. Per il momento basta che non spegni la luce, il resto chissà.






8 novembre 2012

è


Immagine: particolare di un'opera di Deniz Senyesil




Questo pensiero è nato su un foglio di carta qualsiasi, uno di quelli che non lo sanno d’essere speciali. Nudo, in attesa che qualcosa potesse vestirlo. Non aveva freddo, era discreto. Un pensiero timido. È un po’ per me e un po’ per te e non serve che lo ascolti nessun altro. È nostro, e non importa se la r ci mette del suo, tu hai imparato a conoscerla. È per tutte quelle volte che le parole sono quasi un silenzio. È riparo. È perché tutto quello che non è nostro, per qualche istante e un po’ di più, non è. È per quello che siamo e che ancora non siamo, insieme. È perché, senza difese, è.




2 novembre 2012

sciarpe lunghe lunghe




C’è tutto quello che serve: una finestra appena illuminata dalle luci gialle dei lampioni, una tenda che preserva le ombre dei pensieri e una mano che si solleva timida, accennando un “Ciao” da lontano. Da lontano ché le distanze non sono che sciarpe lunghe lunghe  di lontano e vicino. E non c’è mai una giusta distanza quando si dice “Ciao” né un tempo giusto. Anni che sembrano minuti e scompaiono del tutto all’arrivo delle tenebre. Il buio inghiotte quello che c’è da inghiottire a aspetta l’alba per digerire. L’alba arriva, illumina i pensieri scuri che si nascondono o vengono fuori. L’alba è il luogo delle mani che si allargano e degli occhi che guardano cos’ è rimasto. Qualche volta non resta che aprire gli occhi e lanciarli incontro al giorno. Qualche altra, invece, gli occhi si chiudono di nuovo, con la speranza di preservare ciò che è rimasto per ritrovarlo ancora, ancora e ancora. Fino a quando sognare non basterà più.