24 maggio 2012

pezzi di


Matisse, L'escargot - 1953




Nessuno sa di te, forse nemmeno io. Tu sei. Blu, tutte le volte che sfidi l’equilibrio sull’orlo di un pensiero. Viola, nel dolore livido di un abbandono. Giallo, nell’inganno della foga che si attenua per riaccendersi. Rosso, nel calore improvviso di una stilla di sangue vivo. Bianco, in questo silenzio pregno d’attesa. Arancio, nel sorriso di una mezza luna sanguinella e delle sue bugie. Azzurro, in un segreto affidato alla discrezione del mare. Verde, poi. Nel fondo di uno sguardo che non lasci andare.
Nessuno sa di me, forse nemmeno tu. Io sono. Tutti i colori e nessuno.



"... and all will be right"


13 maggio 2012

Ustioni



Non lo so…
Io non so mai niente o so tutto, quando non c’è più motivo di sapere. È che c’è sempre un motivo per sapere, tranne quando tutto è lontano. Io sono una specialista. No, non a sapere tutto o poco o un po’, ma a star lontano. È sempre per la storia del “troppo” poco o tanto. Dentro o fuori, solitamente faccio un giro. Il tempo di fare un giro e vado via, anche se non ho visto tutto. Come si fa a vedere davvero tutto? Che io, poi, sono anche miope. Ci sono due frecce, questo lo so! Non sono frecce, sono più code di drago: una è rossa e l’altra è blu, una scotta e l’altra è fredda. Io un drago, una volta, l’ho visto. Aveva una coda che era come una freccia verde. Diceva: vai! Io sono andata, faceva parte del giro, prima di andare lontano. Io vado sempre lontano, non riesco mai a vedere come va a finire, vado via prima. Seguo le code di drago che tanto, che siano rosse o blu, il risultato è sempre lo stesso: ti ustioni, se ti va bene ti scotti. È forse questa la fine? Allora l’ho vista! Eppure, io penso ci sia ancora così tanto da vedere. Anche se sono lontana, anche se mi avvicinerò a qualcosa che ancora non so.






[... e se cerchi la freccia verde, quella devi solo ascoltarla e partire. Quando dice: vai! Non un istante prima o dopo.]

2 maggio 2012

Surrealveglia sveglia








“Clementina? Clementina, svegliati: è ora!”

“È ora”, come se fosse naturale dover sapere quando è ora d’esser svegli!
Sveglia, poi!
Io sono sveglia, me ne accorgo, sapete? Se non fossi sveglia non potrei parlare con voi.
Ecco, questa è una prova.
Mi ascoltate?
Riuscite a sentirmi?
Non dite nulla, quindi dite tutto: silenzio assenso.
Ok, che sia sveglia è stato stabilito, ma… sarà l’ora giusta?

“Clementina? Clementina, svegliati: è ora!”

Perché questa voce si ostina a parlare!
Sono sveglia, te l’ho detto! Possono testimoniare tutti coloro che son rimasti in silenzio.
No, non è vero che non abbiano espresso un’opinione: silenzio assenso!
È un dato di fatto questo.
“Dato di fatto”, possibile che proprio io abbia detto così?
Io che con i dati proprio non riesco a fare amicizia, io che preferisco i sogni a tutto quello che si può toccare.
I fatti si possono toccare?
Sì, quindi non li preferisco.
Logico, no?
Ho detto: “logico”?
Sì, l’ho appena detto e mi preoccupo.

“Clementina? Clementina, svegliati: è ora!”

Ancora tu?
Va bene, se tutto questo silenzio non ti basta per dirti che sono sveglia, allora chiedi a Ottavio. Ottavio sa tutto di me anche se io non lo devo sapere. So cosa state pensando. Anche io so tutto, non solo Ottavio, con la differenza che voi sapete che io so. Ah, ma che parlo a fare con voi, mica siete voi a sapere. La voce no! No, no, no. Non deve sapere. Perché? Perché l’affare scotta, ma soprattutto non è affar vostro.

“Clementina? Clementina, svegliati: è ora!”

È ora! Ha ragione la voce. Ragioniamo, sono ben otto, forse sei, forse qualcosa in più o in meno che sono sveglia, ma la voce non lo sa. Voi sì, ma siete discreti e non direte niente alla voce. Avete già detto troppo prima stando zitti. In cambio non avrete nulla se non tutto. La vita? Vi basta? Basta che stiate zitti e non se ne parli più: shhh!
È ora! Come ha fatto ad arrivare così in fretta? Qualcuno avrebbe potuto avvisarmi, no? La voce, la voce non sa quel che dice. Dico, qualcun altro che sa cosa dire c’è? Salti fuori, adesso o mai più, in un boing. A saltare son tutti i miei appuntamenti. Eh, se ti fossi svegliata per tempo! Ma io ero sveglia! Voi lo sapevate. Tutti, meno la voce che non ha mai smesso di chiamarmi.
Sono sveglia e adesso?

“Clementina? Clementina, svegliati: è ora!”
 
Era ora!



Uno scontro frizzante aromatizzato alle mandorle


Complicità, Luca Borelli


La stanza è piccola, sulle pareti color ocra qualche tela senza cornice. Un balcone, impercettibilmente socchiuso, lascia passare il profumo di una giornata di settembre che non vuole lasciar andare gli ultimi respiri d’estate. Pochi mobili, lo stretto necessario per tenere tutto in ordine. Un appendiabiti azzurro con un cappello rosso costantemente appoggiato sul suo punto più alto. Fotografie ovunque, un lungo mobile basso di colore blu su cui sono adagiati piccoli soprammobili dalle strane figure colorate. Una libreria gialla fatta di mensole sparse qua e là sulla parete, pile di libri e giornali sistemate in vari punti della stanza. Una poltrona rossa che guarda aldilà del balcone e, al centro, un tavolo ovale turchese contornato da sedie colorate.
In quella stanza, una figura armoniosa si fa spazio tra le ultime luci del giorno che filtrano dalla fessura che impedisce alle tende d’essere tutt’uno.
Elisa ha occhi grandi e verdi, d’un “verde originale”, come lo definisce lei. Sono così grandi che non di rado qualcuno, nell’incontrarli, si perde, qualcuno si sta ancora cercando, qualche altro, ha smesso di provarci. La stanza l’ha arredata lei, ama i dettagli e lascia le tele senza cornice perché dice che così i colori son liberi d’andarsene quando vogliono.
I colori, però, non hanno alcuna intenzione di privarsi di quel verde così originale che li guarda tutti i giorni, restano lì. Come Sario.
“Sario” che strano nome, la prima volta che si sono incontrati, Elisa credeva la stesse prendendo in giro: ”Sario? Tu ti chiameresti così? Dai, dimmi il tuo vero nome!” gli aveva detto non riuscendo a trattenere un sorriso. Il sorriso era arrivato dopo un bel tonfo e qualche innocente imprecazione ai danni dell’ignaro Sario che, come unica colpa, aveva quella d’aver percorso la strada che “solo lei sapeva”.
Quel giorno Elisa era felice, dopo anni di studi, sacrifici, sperimentazioni e amare delusioni, aveva ricevuto la telefonata della sua vita. La più famosa galleria d’arte della città era disposta a concederle dello spazio per una mostra fotografica nell’ambito di una rassegna, dedicata alle giovani promesse della fotografia, che si svolgeva annualmente e che rappresentava un’ottima occasione per gli artisti che vi prendevano parte.
Erano anni che tentava di partecipare a quella manifestazione, anche quest’anno per pochissimo non ce l’aveva fatta, ma stavolta la fortuna le aveva strizzato l’occhio. L’ultimo classificato aveva dovuto rinunciare e, di diritto, il posto vacante spettava a lei.
“Devo festeggiare! Ok, la famiglia è lontana, mia sorella a Londra per promuovere il suo nuovo libro, i miei amici in vacanza, ma devo, devo assolutamente festeggiare! Vorrà dire che cucinerò una bella spigola all’acqua pazza e l’accompagnerò con un delizioso chardonnay!”. Tutto questo, Elisa, l’aveva pensato ad alta voce, infilando lo spolverino  in tutta fretta e correndo verso la porta per lasciarsela alle spalle in un lampo.
Aveva comprato tutto il necessario e anche di più: delle piccole decorazioni per la tavola, candele azzurre profumate e un bel mazzo di girasoli. Si era dedicata con cura anche alla scelta degli elementi protagonisti della sua cena, la spigola era freschissima e non aveva badato a spese per il vino acquistandolo nella migliore enoteca della città. Ma lei sul vino aveva un suo pensiero, non faceva altro che ripeterlo in tutte le occasioni che richiedevano che il pasto fosse speciale: “Il vino non è che quel pizzico di poesia che trasforma un pasto qualunque in un’esperienza indimenticabile”.
Non le restava che tornare a casa e mettersi all’opera e, siccome non vedeva l’ora di incominciare, non aveva avuto dubbi nel decidere di prendere quella che lei definiva: “la scorciatoia che solo io so”. Non aveva fatto i conti con il fatto che quel “solo io so” fosse soltanto una sua opinione e che c’era qualcun altro che amava attraversare quella stradina.
Quella sua convinzione, Elisa l’aveva maturata naturalmente. Da quando si era trasferita nella sua nuova casa, per mesi aveva percorso quella stradina senza incontrare mai nessuno, le piaceva pensare a quel luogo come una sorta di sua proprietà senza sapere che di lì a poco avrebbe scoperto che c’era qualcun altro che aveva maturato la sua stessa convinzione.
Quella scoperta la sentì prima di tutti il suo fondoschiena.  Elisa, infatti, presa dall’impazienza di iniziare il piccolo rito per la preparazione della sua cena di festeggiamento, aveva trasformato la sua andatura veloce, quasi in una corsa.
Era così immersa nei suoi pensieri che proprio non aveva fatto caso al passante che, altrettanto distratto, le stava venendo incontro.
Il risultato non poteva essere che un bel capitombolo per entrambi.
In un lampo, quel piccolo e stretto rivo di terra che si apriva discretamente in un insospettabile punto della città, si era trasformato in un curioso collage di fotografie sparse qua e là intervallate da candele, spigola, frammenti di vetro e girasoli; a guardarlo bene, quasi avrebbero potuto esporlo come opera d’arte contemporanea e fare concorrenza ad artisti quotati.
Elisa e Sario giacevano a terra doloranti, erano così presi dalla valutazione del danno che non s’erano accorti l’uno dell’altra.
“No! Le mie foto sono innaffiate di vino ed emanano odore di pesce, sono inservibili …”, aveva esclamato Sario in preda al più grande sconforto.
“La mia cena di festeggiamento è defunta, non devo neppure comprare i fiori per la cerimonia funebre, già ci sono girasoli e anche le candele”, aveva detto Elisa, che aveva il dono di ironizzare anche nelle situazioni più assurde.
In quell’istante, il suono delle reciproche voci, aveva fatto capire ai due di non essere soli.
Sario, all’udire le parole di Elisa, non era riuscito a trattenere una risata ed Elisa non tardò a chiedere ragione di quella sfrontata ilarità: “Cos’hai da ridere tu? Hai visto cosa hai combinato? E poi, chi ti ha dato il permesso di passare dalla MIA scorciatoia?”.
Sario aveva smesso di ridere e guardava Elisa senza riuscire a giustificarsi per quella ridicola accusa, l’unica cosa che era riuscito a biascicare era stata: “Veramente io…ecco, non sapevo, non potevo immaginare, però… mi scuso”.
Stavolta a ridere era Elisa che senza pensarci troppo, quasi dimenticando il tonfo e presa dalla curiosità per quel ragazzo tutto occhi incorniciati da una montatura troppo grande per quel viso interdetto, non aveva perso tempo a dirne una delle sue: “Dovresti buttare via la cornice”.
Sario non aveva fatto in tempo a riprendersi da quegli occhi di quel verde così originale che già si era nuovamente perso in quella curiosa domanda: “Cornice? Quale cornice?”, aveva chiesto non riuscendo proprio a immaginare la risposta.
Elisa, aveva assunto un’espressione seria, era pronta ad esporre la sua teoria: “Gli occhiali incorniciano gli occhi. Io non amo le cornici, se fosse per me, non dovrebbero esistere. La cornice definisce, imprigiona un po’ come con le tele. Io non la uso mai, così i colori sono liberi d’andar via e sai una cosa? Restano sempre!”.
Quella teoria tanto strampalata, era apparsa agli occhi di Sario così creativa e deliziosa che non aveva proprio provato a contraddirla, anzi, non aveva esitato a esclamare: ”Come non averci mai pensato!”.
L’accoglimento entusiasta di Sario della “teoria delle cornici” aveva definitivamente fatto dimenticare a Elisa il capitombolo e anche quella cornice per gli occhi che proprio non le piaceva.
Guardandosi intorno aveva notato le foto sparse e, senza rendersene conto, le stava raccogliendo tutte sfogliandole ammirata.
“Sei bravo, mi piace il modo in cui vedi le cose. Questo viso, ad esempio, è apparentemente sognante, ma gli occhi rivelano malinconia e tu sei riuscito a catturarla. Come ti chiami?”.
Quel “Come ti chiami?” le era venuto fuori così, naturalmente e ancor più naturale e immediata sarebbe stata la risposta di Sario: “Mi chiamo Sario”.
”Sario? Tu ti chiameresti così? Dai, dimmi il tuo vero nome!” aveva esclamato Elisa sorridendo.
“Sì, proprio Sario. Dove andavi così di corsa? A giudicare dai superstiti, la tua cena sarebbe stata deliziosa”, aveva detto Sario senza badare troppo all’incredulità di Elisa sull’autenticità del suo nome.
“Ho appena saputo che potrò esporre le mie opere alla galleria del centro nell’ambito della manifestazione per le giovani promesse della fotografia. Avevo pensato che sarebbe stato bello festeggiare, ma sembra che tutti i miei cari si siano messi d’accordo per lasciarmi sola. Così, ho deciso di cucinare una cena con i fiocchi che avrei sublimato con un delizioso chardonnay, ma, adesso è andato tutto perso e tutto perché tu hai violato la “mia scorciatoia”. Come pensi di farti perdonare?”. Senza neppure rendersene conto, Elisa aveva reso quell’improbabile scontro un incontro destinato ad avere un seguito.
Sario non aveva alcuna intenzione di lasciarsi sfuggire l’occasione di rivederla e non aveva perso tempo a risponderle: “Potrei sempre pensare al dolce, che ne dici di una torta caprese accompagnata da un buonissimo vino aromatizzato alle mandorle? Sai, il momento del dolce per me è sacro e non può non essere sottolineato con un buon vino liquoroso. Ho sempre pensato che sia la perfetta sintesi tra cibo e vino che rende un pasto qualsiasi, un’esperienza indimenticabile “.
Elisa non riusciva a credere alle sue orecchie, il ladro della “sua scorciatoia” le stava rubando anche uno dei suoi pensieri preferiti. Quel furto sembrava non dispiacerle, al contrario, le piaceva l’idea che qualcuno avrebbe festeggiato con lei e le piaceva anche che quel qualcuno fosse proprio Sario.
Quel tipino smilzo, con gli occhi incorniciati, con quel suo originale gusto nel vestire, con il suo modo speciale di catturare istanti in bianco e nero e la battuta pronta, la incuriosiva sempre più.
Elisa non aveva avuto difficoltà nel rispondere: “Va bene, vada per la tua magica esperienza enogastronomica, ne approfitterai per raccontarmi delle tue foto. Sei davvero bravo, potresti esporre anche tu e se avessi fatto già domanda d’ammissione e non ti avessero accettato sarebbero dei pazzi. Se ci pensi, una foto non è racchiusa che in un semplice click, ma è quando quel click riesce a produrre un suono speciale che una semplice fotografia diventa musica. Ti aspetto alle ventuno, sii puntuale e, mi raccomando, io vado nuovamente a fare la spesa, al mio ritorno non voglio più trovarti qui nella “mia scorciatoia” ad intralciare i piani per la mia, anzi nostra cena”.
Sario non aveva alcuna intenzione di intralciare non solo la piccola corsa all’acquisto di Elisa, ma neppure quel flusso di pensieri originali che pareva non aver fine. La teoria di Elisa sulla fotografia come musica lo aveva meravigliato, era così spontanea e sintetizzava così bene un aspetto dell’opera d’arte che non aveva proprio intenzione di contraddirla.
Tutta quella vivace creatività, per un artista come lui, non poteva che essere continuo motivo di gioia.
Elisa non lo sapeva, ma a quella manifestazione avrebbero partecipato insieme, anche Sario aveva realizzato il suo sogno e, anche lui avrebbe voluto festeggiare in modo speciale.
Il destino li aveva fatti scontrare, l’arte li avrebbe uniti e la vita li avrebbe visti camminare l’uno a fianco all’altra.
Sario era stato puntualissimo, la cena squisita e, quella sera, Elisa non festeggiò soltanto l’ammissione alla manifestazione per le giovani promesse della fotografia, ma anche l’inizio di quella che avrebbe sempre ricordato come la storia d’amore più bella della sua vita.
Elisa sistema le ultime cose, i girasoli sono al centro della tavola ben apparecchiata, dalla cucina un profumo buonissimo irrompe discretamente anche nella sala da pranzo. Guarda l’orologio, accende le candele e il suo sguardo si posa su una fotografia. Sorride. Un suono la riporta alla realtà: è il campanello. Toglie frettolosamente il grembiule, passa una mano tra i capelli per sistemarli e corre ad aprire.
“La caprese e il vino alle mandorle, lo sai che il momento del dolce per me è sacro” Sario esordisce così ed Elisa lo bacia affondando nel suo forte abbraccio.
Sono trascorsi dieci anni da quella prima, improvvisa, cena. Elisa e Sario non sono più delle promesse della fotografia, ma delle solide conferme del panorama artistico. Girano il mondo cercando di regalare emozioni con i loro scatti, cercando, come dice Elisa: “di trasformare un click in un suono speciale”, ma qualsiasi cosa succeda, ogni anno, per quella sera che ricorda il loro primo incontro, sono lì in quella piccola stanza dalle pareti ocra che ha visto nascere e crescere il loro sentimento d’amore.
Il menù è sempre lo stesso:
Spigola all’acqua pazza e chardonnay, per far contenta lei
Torta caprese e vino aromatizzato alle mandorle, per deliziare lui
Il tutto condito con la magia che solo un grande amore può dare.