21 aprile 2012

interrogativi accartocciati





Sono appena tornata dall’ufficio postale. Amo gli uffici postali, credo di averne visitati un mucchio, in ogni città. L’ufficio postale ti permette di raggiungere qualcuno di speciale con un pensiero che potrà stringere tra le mani, insomma è un po’ come se il destinatario del pensiero stringesse te. Mi sono meno simpatici quando devo pagare bollette o fare file interminabili, ma anche in quei casi trovo qualcosa da fare per distrarmi oppure lo trovano gli impiegati delle poste che, un paio di volte, volevano farmi fidanzare con qualcuno… va be’. Sorrido. Questa volta non c’era da inviare nessun pensiero, non c’era nemmeno da attendere. C’eravamo io e una faccenda da sbrigare. Ho appena tolto il cappotto che mi sembra assurdo dover indossare in questo periodo, ma il freddo di questi giorni mi ricorda che di certezze nella vita ce ne sono ben poche e che farei meglio ad abituarmi all’idea. Lascio la mia camera per andare a sedermi sul divano rosso nella stanza a fianco. Faccio poco caso a quello che mi circonda, ho con me tre fogli bianchi, una penna e l’intenzione di scrivere quello che ho promesso avrei scritto. Devo rispondere a una domanda: “Cosa rischierei se accadesse quella cosa?”. La risposta che scrivo immediatamente è: niente! Lascio andare la penna, guardo verso il balcone e mi chiedo perché il sole oggi sia così indeciso. Indeciso, e io? Io sono davvero così convinta di quel: niente? Riprendo la penna, sistemo i fogli bianchi e ricomincio a scrivere. Quel niente inizia a trasformarsi in qualcosa. Prende spazio, sempre più spazio e io penso che quello che ho destinato alle invasioni emozionali è davvero poco per poter contenere sul serio quel “niente che è diventato qualcosa e che se non lo fermo chissà cosa diventerà”. Sono le 12.10, sto ancora scrivendo e so che tu che leggi ci avrai capito poco, ma ti assicuro che io ci sto capendo ancor meno di te. Mi sento in compagnia, adesso.



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