21 dicembre 2012

Nel silenzio di un giorno



Agostino Bonalumi


Se questa giornata avesse un abito sarebbe quello del silenzio. Lo stesso che veste la distanza tra te e le mie ultime parole, tra me e tutto quello che hai taciuto. E se proprio dovesse avere un suono avrebbe quello delle nostre parole, di quelle non dette, affidate agli spazi bianchi tra un rivolo e l’altro d’inchiostro, tra un respiro e l’altro di voce.

In quegli spazi bianchi, in quei respiri quasi rubati c’è tutto quello che non. E non è un modo per non dare un nome alle cose, è che qualche volta un nome le cose non ce l’hanno o fanno finta di non averlo. Come quando sei nel bel mezzo del valzer dei pensieri e qualcuno interrompe il tuo passo leggero con l’insolenza di una domanda sciocca. Lo guardi, mentre abbracci con gli occhi tutto quello che c’è da abbracciare e rispondi che no, tu proprio non lo sai. Non è che non lo sai, è che tu in quell’istante, al centro di quella domanda sciocca, proprio non ci sei.
Sei lontano e l’altro non lo sa, tu lo sai.
Un po’ come quel giorno in cui ci siamo detti addio. C’era silenzio, non lo stesso di oggi, quel giorno era così muto che anche le lacrime avevano avuto timore di disturbarlo. Scivolava tutto lento, lasciando solo piccoli spazi bianchi, soffi di respiro. Tutto era immobile, stanco. Il giorno aveva assorbito quella malinconia come una spugna, la sera era venuta giù a goccioloni. Era un modo per restituire tutte le pene sentite, le parole taciute, i silenzi ascoltati. Era solo un modo per lasciarci andare, un po’ alla volta.
Dopo, la quiete. La quiete dell’anima nuda mutilata d’un luogo di sé, delle dita piegate nel modo esatto in cui accogliere il vuoto di quelle che non l’abitano più, del cuore senza difese che si consegna all’assenza dell’altro.
Oggi. I silenzi sono pieni di parole sciocche e io penso che no, proprio non lo so, come quando i miei pensieri ballano il valzer. E lo sai, invece lo sai che non è più come la prima volta che ci siamo sorrisi.
I sorrisi hanno una geografia strana che cambia continuamente, quando pensi di sapere come trovarne uno ecco che l’hai perso perché nell’ultimo posto in cui lo hai lasciato non c’è più. Lo so che, se tu sapessi ascoltare, io quei silenzi li riempirei, ma questo giorno ha un abito che non vuole cambiare e un coraggio che non sa trovare. Resta in silenzio, non riesce a sibilare che in un refolo di vento, si cela all’ombra di una crepa asciugata dal sole. È lì che custodisce quello che non riesce a dire, tutto quello che non sa dare a questo nuovo addio che ha lo stesso suono di un tormentone estivo e la stessa geografia di un sorriso di circostanza, quelli sono gli unici sorrisi che sai sempre come trovare.
Eppure basterebbe poco per non lasciarsi andare, basterebbe affidarsi ai segni lasciati nelle crepe asciugate dal sole ché si sa che dopo ogni sera piena di goccioloni poi arriva il sole e asciuga tutto. E quando va via, lascia il segno. Tanti segni che sono labirinti di possibili strade da percorrere, direzioni da seguire, crepe. Gli stessi segni che indicano i numeri, le carte e le posizioni dei pianeti e delle stelle, le mappe dei buchi neri.
Ho sempre pensato che la vita avesse un piano disegnato dall’abile mano di qualcosa che non. In questo caso non faccio finta di non sapere, non sono al centro di una domanda sciocca e  i miei pensieri non ballano il valzer. Questa volta proprio non lo so quel qualcosa dove porti. L'unica cosa che so è che quando pensi d’essere davvero lontana, ecco che le carte vengono rimescolate e ti ritrovi in un giorno come questo.
Uno di quei giorni che parlano di qualcosa che non c’è più, che parlano troppo, che sorridono anche se non ce n’è motivo e che pensano che tu non ci sei e va bene così, che io non ci sono e va ancora meglio.
La distanza è sempre la stessa, quella tra te e le mie ultime parole, tra me e le cose che hai taciuto, tra noi e quelle piccole ferite bianche accarezzate dal vento. E c’è quiete, la stessa in cui riposa un tempo che ci ha visti insieme e che ci ha persi per sempre.


12 dicembre 2012

sparolando





Ci sono tante parole. Non è una novità. Parole che aspetti come si aspetta una festa. Non arrivano mai o arrivano all’improvviso. Poi? Poi ti accorgi che la festa era passata da un pezzo e che quello che era rimasto era solo un odore stantio di cose che andavano messe via, il prima possibile. Prima. Ah se ce n’erano di cose da festeggiare, così tante che un calendario intero non sarebbe bastato. Avresti anche chiesto qualche giorno in più al calendario dell’anno dopo. Te lo avrebbe concesso qualche giorno in più, per feste come quelle i giorni si regalano con piacere. Poi scopri che non ti piace più. Ti ricordi che quello che ti piace è lontano lontano e non perché sai dov’è, proprio perché non lo sai. Aspetti, ché un pizzico di tempo per aspettare le cose belle lo riesci sempre a staccare dalla giornata.  E pensi che i giorni che ci sono non ti bastano per raccontare tutto quello che hai da raccontare, che dovresti chiedere qualche giorno al calendario dell’anno dopo, ma, per cose come queste, i giorni non si regalano tanto volentieri. Desisti e aspetti che arrivino le orecchie giuste. Quelle lontane lontane, quelle che sono nello stesso posto in cui c’è quello che ti piace, che sono quello che ti piace. Così, ti dai un pizzico e aspetti ché la festa, quella che hanno organizzato solo per te, ti sta aspettando anche lei. In un giorno qualsiasi, con la promessa che un solo calendario non basterà.



20 novembre 2012

L'uomo dal profilo sinistro


Julio Ojea



Cade la pioggia. Pesante. Batte. Una goccia alla volta. Silenzio, un solo istante. Musica nelle cuffie e movimento della porta scorrevole. Si apre. Due gradini. “Un biglietto per la città”. “Tenga il resto”. Un passo, due, tre. Quinto sedile sulla destra, lato finestrino. Sedile comodo, non molto sporco. Finestrino vissuto, per non dire lercio. Non voglio essere sincera, non solo con il finestrino. My shadow's only one that walks beside me/ My shallow heart's the only thing that's beating/ Sometimes I wish someone out there will find me. Disegno, distratta, un punto interrogativo sul finestrino, gli regalo pochi centimetri di visione nitida. Me ne pento subito. Volto lo sguardo e ti ritrovo. Sei seduto allo stesso posto, come sempre. L’uomo dal profilo sinistro, ti chiamo così. È l’unica parte che conosco di te: il tuo profilo sinistro. Hai un bel naso, lo sai perché lo mostri con fierezza, spingendo il mento in fuori e lasciando che la tua vigile coda dell’occhio raccolga gli apprezzamenti muti degli sguardi curiosi. Rubano pezzi di te. Ci sono anche i miei, non lo sai. Non devi dormire molto la notte, quell’effetto smoke sotto gli occhi non riuscirei a ottenerlo nemmeno con ore e ore di trucco. Non hai nessun legame serio, a meno che tu non lo nasconda. La tua mano sinistra non ha nessun punto luce dorato che rifletta l’esistenza di un vincolo noto. Sul cuore, non so, non dico. Vira a sinistra anche lui, ma è coperto dalla camicia azzurra, gli dona serenità. Ti dona. Hai delle belle mani. Spesso stringi una penna che fai scivolare, sicura, su un quaderno nero. Sei mancino, posso rubare attimi alla tua mano che racconta i tuoi pensieri. Scrivi pensieri, niente di banale. Questo non lo so, ma assomiglio tanto a questo finestrino che ha perso ogni possibile oggettività tra la polvere che lo difende. Ho tracciato qualche punto interrogativo, ma nessun centimetro di visione nitida. Sto bene così. Suoni uno strumento, probabilmente il piano. Hai le dita affusolate e lunghe e tieni il tempo con il piede come un consumato musicista. Mi piacciono le melodie che componi. Almeno quelle con cui regali un suono alla mia giornata quando ti vedo. Non ti ho mai visto parlare al telefono. Sono fortunata, sarei stata gelosa. Per questo tempo e in questo spazio la tua metà sinistra mi appartiene, l’altra metà può fare quel che vuole. Io posseggo quella più importante, quella in cui vivi. Siedi sempre sul sedile esterno, non hai bisogno di finestrini impolverati, tu. Sorridi, non un sorriso largo, ma una di quelle smorfie che uniscono gli angoli della bocca ai lobi delle orecchie. Lo fai lentamente, come si fanno tutte le cose preziose. Hai una fossetta sulla guancia, raccoglie tutte le tue malinconie affondandole con discrezione nel tuo sorriso. Distolgo lo sguardo dalla tua figura a metà e lo rivolgo al finestrino: so tutto quello che c’è da sapere di te, penso. Frenata brusca, l’autista è sovrappensiero. Tu non scendi. È la tua fermata e non scendi. Frenata decisa, l’autista ha fatto tesoro delle invettive del passeggero del terzo sedile. È la mia fermata. Afferro la borsa, mi alzo senza far rumore. Qualche passo in avanti e potrei guardarti negli occhi. Pochi passi e tu mi guarderesti. Passo incerto sul corridoio rivestito di gomma. Mi fermo."Buona giornata". Non rispondo. Porta scorrevole. Un gradino, due, tre. Musica nelle cuffie. My shadow's only one that walks beside me/ My shallow heart's the only thing that's beating/ Sometimes I wish… Mi sveglio. Tu dormi, sul lato destro, quello che vedo tutte le mattine appena sveglia, mentre lascio nel sogno l’unica parte di te che mi appartiene.


My shadow's only one that walks beside me
My shallow heart's the only thing that's beating
Sometimes I wish someone out there will find me.

La mia ombra è l'unica che cammina accanto a me
Il mio profondo cuore è l'unica cosa che batte
Qualche volta desidero che qualcuno là fuori mi trovi


[Boulevard of Broken Dreams, Green Day]


18 novembre 2012

più in là

Time and consciousness, Monique Jarry


Avvicinati, un po’ di più. Raggiungi la linea di confine fino a perderla. Non cercarla, sarà lei a cercare te. Ti troverà nell’istante in cui ti fermerai a un palmo dal punto in cui l’anima straripa. O ti perderà per sempre, nell’attimo in cui non riuscirai a ritrovarti. Avvicinati, un po’ più in là. Dove il sole invidia la luce liquida dell’uno che si è sciolto nel due. Non c’è nessuna linea di confine, non più. Avvicinati, finché vuoi, finché possiamo. Non lasciamo al sole neppure una goccia di luce. È tutta per noi. Ho paura del buio, mi fido di te.

  

13 novembre 2012

dintorni

Brilliance of life, Yayoi Kusama




Certe volte basta che parta una canzone, una come quella che stai ascoltando in sottofondo che poi lo sai che non sarà mai sul serio la stessa che ho scelto per scrivere quello che stai leggendo o forse sì.Tanto non te lo dico. È che mica solo io faccio cose senza senso, l’Universo, ultimamente, sta facendo davvero tanta confusione. Spero non pretenda che io lo capisca perché no, non lo capisco. Mica non capisco solo l’Universo, ci sono così tante (troppe) cose che da un po’ più di un po’ non mi sono chiare, ma me ne sto facendo una ratio. La verità è che una volta tanto la ratio vorrei buttarla dalla finestra insieme a tutti i loop dell’Universo e alle cose sospese. Vorrei ridere senza dover trattenere il respiro tra un puntino e l’altro, mordere un’affermazione e mandarla giù. Se è amara non fa niente, tanto a me le cose troppo troppo dolci non piacciono. Tranne la pignolata messinese, quella sì che mi piace,anche se è una di quelle cose troppo troppo dolci, ma non fa niente. Mi piacciono tante altre cose, come la parmigiana di mamma, per esempio oppure la pizza di nonna, Elisa quando ride, papà che aggiusta le cose e io penso tutte le volte che è bello che ci sia lui che le sa aggiustare. Ah, vero… all’inizio era partita una canzone. Son partite anche tante altre cose e alcune non ritorneranno mai. E lo so che “mai dire mai”, ma qualche volta un “forse” non basta e, quando non se ne accorge nessuno, lo sostituisci con un “mai” e scappi via per non farti beccare. Tanto, poi, se qualcuno vuol trovarti ti becca lo stesso e chi s’è visto s’è visto (ti ha visto anche se ti sei nascosto in quel posto che nessuno sa). Io mi nascondo, tra un puntino e l’altro, ma soltanto tre non mi bastano. Se proprio devono esserci i puntini che siano tanti quanti tutte le figure che posso disegnare unendoli, che siano tutte le strade che posso tracciare alla ricerca di nascondigli dimenticati, che siano solo tante piccole luci così che tutte le volte che ho paura possano farmi compagnia. Ho paura del buio e di tante altre cose. Per il momento basta che non spegni la luce, il resto chissà.






8 novembre 2012

è


Immagine: particolare di un'opera di Deniz Senyesil




Questo pensiero è nato su un foglio di carta qualsiasi, uno di quelli che non lo sanno d’essere speciali. Nudo, in attesa che qualcosa potesse vestirlo. Non aveva freddo, era discreto. Un pensiero timido. È un po’ per me e un po’ per te e non serve che lo ascolti nessun altro. È nostro, e non importa se la r ci mette del suo, tu hai imparato a conoscerla. È per tutte quelle volte che le parole sono quasi un silenzio. È riparo. È perché tutto quello che non è nostro, per qualche istante e un po’ di più, non è. È per quello che siamo e che ancora non siamo, insieme. È perché, senza difese, è.