24 luglio 2011

La stanza gialla

Foto di Anto Superbat



Suona la campana. Sei rintocchi, in questo giorno nuovo. Io lo abito. Come fosse la stanza più bella di cui aver cura. Lo vivo. Con la stessa intensità con cui si vive l’ultimo giorno prima e il primo giorno dopo. Mi guardo intorno. Come se in questo giorno non ci fossi mai stata. Non ci sono mai stata. E lo sento casa. Come la risata di una bimba paffuta che intona una filastrocca giocosa, saltando la corda, in una giornata di sole.





4 luglio 2011

LUI, IL DADO, IL TRE E IL SEI


Sapevi che prima o poi avrei raccontato di te, senza far finta di parlar d’altro, intendo.
Lo sapevo anch’io, mentre tessevo bugie per trattenere i pensieri: una ragnatela di fili tanto sottili da farla scomparire all’occorrenza.
Non avevo fatto i conti con il sole, basta un raggio, solo uno nel punto
giusto e la ragnatela salta fuori.
Oggi piove, c’è poca luce e il sole affonda tra le nuvole, ma tu, voglio
dire, la ragnatela salta fuori lo stesso.
Sei di nuovo impigliato tra i miei pensieri e non è colpa tua.
Sei via da un po’, qualcuno direbbe da tanto, io dico che il tempo è un punto di vista e sì, sarà anche tanto, ma è che questi fili non riesco proprio a tagliarli: quando ho le forbici non li trovo più e, quando li trovo, è la volta che alle forbici viene voglia di giocare a nascondino.
Ecco, lo sto facendo di nuovo, parlo di te e faccio finta di parlar d’altro.
Cerco di non farlo più.
Ricordo ancora la prima volta che l’ho trovato, in quella piazza ci son capitata per caso e, con tutto il freddo che faceva, proprio non riuscivo a capire come mai mi trattenessi ancora lì.
Quella piazza, poi, così piena di luci e colori, non mi è mai piaciuta, è malinconica e tutta quella malinconia non riusciva ad accordarsi con il mio gelato mora e amarena.
Era dicembre e, mentre gustavo il mio piccolo piacere nostalgicamente intriso d’estate, l’ ho trovato.
Giaceva lì, in quel negozietto all’angolo: mi aspettava!
Ci siamo scelti subito, è bastato farlo scivolare tra le mani per non lasciarlo più.
Un dado, molto più che un dado!
In quel momento, era tutto quello che stringevo tra le mani: gioco, imprevisto, sorpresa, emozione, rischio adrenalina, euforia, gioia!
Lo è anche adesso, come allora.
L’ho fatto ancora!
Parlo di te e faccio finta tu non ci sia, ma tu ci sei, tanto.
Ecco quel raggio di sole, i fili luccicano e prendo le forbici, mi avvicino, faccio per tagliare.
Mi fermo.
Lascio andare le forbici, volgo lo sguardo al mio dado, lo stringo forte e lo lancio: tre e sei!
Tre e sei.
Nascondo le forbici in fondo al cassetto.
Vado via io!