22 marzo 2011

S-Shake



Questa è la storia di un giorno. Un giorno qualunque, in uno spazio qualunque. Preferibilmente bianco, lo spazio, intendo. Sì perché il bianco aspetta, io lo so.
Stavamo dicendo…sì, la storia di un giorno qualunque. In questo giorno, c’erano tante lettere colorate. Sì, coloratissime, erano vestite a festa. Di chi era la festa?
Ah, questo non lo so e forse non c’era neppure una festa. Quello che so è che ballavano lo shake. Ecco, sì, la festa se l’erano inventata solo per ballare lo shake. Io so ballare lo shake? Aspetta che ci penso. Un secondo. Lo so che è già passato. Una manciata di secondi tirata in cielo con triplo salto mortale. Senza avvitamento, bastano i miei pensieri svitati. Posso darti la risposta: no, non lo so ballare. Ci proverei. E le lettere? Loro sì che  shakeravano, come un angelo azzurro in una coppa ghiacciata. Brrr, che freddo! Questo, però, è un altro giorno: quello in cui faceva così freddo che la festa del giorno qualunque avrebbe riscaldato tutti con il suo shake. Di questa ne parliamo un’altra volta! Le lettere, quel giorno, si sono alzate dal foglio un po’ nervose.
“Le righe non ci piacciono!”, aveva detto la Q a gran voce!
“È solo perché tu ci inciampi con la linguetta!”, aveva risposto la I.
“Basta! Cerchiamo di toglierle via, abbiamo bisogno di scorrere libere. Non vogliamo strade segnate dalle righe. Le strade, ce le inventiamo noi!”, gridava la K mentre liberava le sue asticelle dagli odiosi sentieri.
“Guardate il bicchiere mezzo pieno”, esortava la V.
“NO!”, la N non diceva mai tanto di più.
“No, cosa? A naso, direi che…ops, ho un cerchio d’inchiostro, non ricordo…”, sulla O e i suoi cerchi d’inchiostro, nessuno faceva affidamento.
“Direi che il bicchiere è un vuoto a perdere. Non so cosa significhi, ma questa frase sembra: “Ohhhhh…”, gongolò l’H nei puntini sospensivi.
“Dovremmo smettere d’aver paura”, la P sentiva d’aver fatto il suo dovere.
ALSDKSPRPOTPMCIRTKJBVZKLZMMPOFISIHKLGFMNBWCLKJB…” blaterarono tutte le lettere insieme!
“Silenzio letterine birichine! Ho un’idea: shake” concluse la S, zittendo tutti.
Le letterine fecero: “Ohhhhhhhhhh…con un sacco di H” tutte insieme e con tanto piacere da parte dell’H vanitosa.
C’era un problema, però. La musichetta delle shake, proprio non ce l’avevano. Era un problema? Direi di no, delle letterine che volevano sradicare le righe dal foglio, proprio non potevano farsi problemi per una musichetta mancante. Così, si armarono di pazienza e decisero che, il primo motivetto simpatico, le avrebbe fatte danzare.
Quel motivetto arrivò, aveva il profumo dei fiori di campo a primavera. Lo so, i fiori di campo hanno un odore, come dire…originale, ma a me piacciono e anche alle letterine. Sapevano che era l’unico profumo possibile, come certe cose che devono succedere.
Alcune di loro, proprio non sapevano ballarlo lo shake, qualcuna, addirittura, ruzzolò.
La V, per esempio, si fece proprio male, ma arrivò la S e le gridò: “Shake!” .
In poco tempo tutte danzarono, anche la V.
La S dirigeva le danze ché come gridava “Shake!”, nessuno, ma proprio nessuno, sapeva gridarlo così.
E le righe? Già, questa storia inizia con le lettere che volevano uscire fuori dalle righe.
Le letterine erano così impegnate a danzare, sul motivetto simpatico che, senza accorgersene, iniziarono a saltare anche sulle righe, facendone corde ed improvvisandosi equilibriste.
Si divertirono così tanto per questa trovata che la R propose, a gran voce: “Teniamo le righe e non temiamole più!” e le letterine, invece del solito “Sì!”, risposero in coro: “Shaaaaaa...ke!”.
E ripresero le danza!


18 marzo 2011

Il fumafungaliffo in vacanza a Riccione, forse (di Valentina Luberto e Pasquale Chirchiglia)







Ciao cuore, vorremmo sapere dove vai. No, non è per ciarlare è che ci preoccupiamo.
Se poi ti perdi?

Cuore, attento a Cupido, che quello sbaglia sempre ventricolo.

Non lo fa apposta, gli manca qualche diottria e anche qualche ricciolo biondo. Chissà dove l'ha perso.

In realtà ha perso la vista giocando a Super Mario.

Di Super Mario non ti fidare. Lui corre veloce, una volta ha anche sciolto una nuvoletta, tanto era il vento che ha tirato su.

Super Mario inoltre sta in mezzo ai funghi, però li fuma, mica li mangia.

Funghi e pozzanghere di fango. Chissà se ha mai incontrato il fumafungaliffo.

In una pozzanghera c'era un ricciolo, ma così grande che ne hanno fatto una città: Riccione.

A Riccione noi non ci siam mai stai. Forse sei lì, insieme a Super Mario, bevi una birra con Cupido?

Cupido ha dovuto impegnare arco e frecce, ormai è disoccupato, al posto suo c'è FacebooK.

 




[…tanto s-parlare e del cuore nessuna traccia, neppure un segnale di fungofumo]


* s-parole in rosso di Pasquale Chirchiglia, nonché corresponsabile di titolo, scelta musicale e visiva; il resto del delirio è di Valentina Luberto :D

 


13 marzo 2011

Ponti di svista


 
Hopper, Les Pont des Arts


Un ponte, il ponte, quel ponte. Punto. No, aspetta, non mettere un punto. No, non adesso. Perché? Qui siamo sul ponte, punto. Non ci sono "perché", non c'è nemmeno l'accento. Nel modo giusto: così o niente! Così, con l'accento e con un punto e virgola. La virgola scende giù e segna la neve. No, non c'è la neve, c'è un fiume che scorre e rincorre pensieri tuffati nel dimenticatoio. Buio. Il buio è nero e nel nero non c'è nessun colore. Tutti i colori sono in fondo al bianco che nevica pensieri. Dove sono i pensieri? In fondo al bianco. In fondo c’è un fiume che scorre sotto al ponte. Un ponte qualsiasi? No, quel ponte. Glu, glu, glu...dice l'acqua! Silenzio, non parlare, smettila di rivelare. Smettila, smettila, non voglio ascoltare, voglio solo guardare. Come scorre, come corre, com'è azzurra.
E il bianco? Dov'è il bianco? Non fartelo scappare, non senza cercare di fermarlo. Lì ci sono i colori. Non questo o quel colore, non solo il rosso o il viola, i colori, tutti i colori. Non uno di meno o di più, che, poi, sarebbe lo stesso. E adesso? Brrr...brrr...brrr...tra i puntini sospensivi nevicano tutti quei pensieri che non hanno voce. Schhhhh...* ** ** * * fiocchi di neve e un tuffo nel bianco. Dal ponte. Punto e a capo.


7 marzo 2011

Il cannocchiale che non c'era e, forse, nemmeno qualcos'altro


Summer evening, Hopper

Stasera ho messo il vestito che ti ha sempre fatto arrabbiare. Quello rosa, tanto sottile, da scivolare tra le dita a ogni carezza. Sei geloso e a me piace, tanto. Ti arrabbi. Tutte le volte che lo indosso, le sopracciglia fanno un foro nel tuo naso per quanto le aggrotti. Perché l’ho indossato? Perché mi mancano le tue sopracciglia piantate nel tuo naso, perché, nonostante siamo così vicini, non riesco a toccarti.
Non riesco.
Così vicini, così lontani.
Lo sai che mi sembra assurdo che possiamo essere così lontani?
Lo sai che quando penso a tutto quello che c’era ancora non ci credo che non riesco a vederti neppure con il cannocchiale?

Ti ricordi del mio cannocchiale? Mi è sempre piaciuto guardare le stelle e ti ricordi qual è la mia preferita? No, quella è la tua preferita, la mia è più blu, la mia è quella che sorride di più.
Basta con questa storia che le stelle non sorridono! Sorridono, io le ho viste e se non sorridono quando ci sei tu è perché tu non le fai sorridere…
Sarà che sei antipatico, sarà quella vertigine a sinistra che hai in cespuglio che ti ostini a chiamare capelli, sarà quello che le indispone, che ne so, ma una cosa è certa: sorridono!

Forse, se riuscissi a sfiorarti, a farti una carezza, sorrideresti anche tu e ti dimenticheresti del vestito.
Forse non è poi così vero che vorrei ti dimenticassi del vestito. Quanto vorrei accarezzarti, solo un po’, solo una volta, ma non riesco a toccarti.
Non riesco.

Ti ricordi quella notte, quando abbiamo deciso di andare a guardare le stelle?
Che paura, com’era buio, però che luce!
Ci bastava essere insieme e c’era luce.
Quella notte ci ha regalato la stella più bella, quella piaceva a entrambi, me lo ricordo bene perché era così bella che, quando l’abbiam vista, abbiamo smesso di litigare.
Te lo ricordi com’eravamo vicini quella notte?
E il cannocchiale non c’entrava nulla e non c’entrava niente la stella che ci sorrideva e neppure la luna che ci faceva dondolare.
Eravamo lì, sulla luna a guardar le stelle.
Io a un’estremità e tu dall’altra, dondolavamo e sorridevamo.
Lo sguardo puntato al cielo e abbiamo visto la nostra stella.
Non abbiamo dondolato più, ci siamo guardati in silenzio e la luna ha fatto il resto.
Una bella spinta dalla tua parte e sono scivolata giù. In un secondo eravamo abbracciati e la stella ci faceva compagnia.
Ah, luna malandrina, ti ricordi com’eravamo vicini?
E il cannocchiale non c’entrava nulla e nemmeno la luna e tutte le sue manovre ruffiane.
Ci bastava essere insieme, abbracciarci su quella luna e guardar le stelle, in silenzio.

Ti abbraccerei, anche adesso, e so che tu mi stringeresti forte.
Sentiresti scivolare le mani tra la seta della mia fascia sul seno e la mia pelle nuda.
Non saresti più arrabbiato.
No, non più.
Mi baceresti e faremmo l’amore e del vestito non ti preoccuperesti più.
In quel momento sì che sarei felice ti dimenticassi del vestito.
Lo vorrei, non sai quanto lo vorrei.
Ti abbraccerei, se solo riuscissi a toccarti lo farei, ma non riesco.
Ti bacerei.
No, non riesco.

Chissà se tutto questo esisteva poi davvero, chissà se c’eravamo anche noi o se tutto non era che il frutto di una particolare inclinazione della lente del cannocchiale... chissà!
No, il cannocchiale non c’entrava nulla.
Io nemmeno ce l’ho il cannocchiale e non ce l’hai nemmeno tu, però abbiamo la nostra stella e abbiamo tutto quello che c’era.
C’era, e adesso?

Adesso ci rincorriamo e non ci vediamo, ci osserviamo in segreto e ci accarezziamo da lontano, che poi tanto lontano non è.
Adesso siamo qui, sotto questo porticato e non riesco a guardarti.
Ho paura.
Paura di non riuscire a lasciarti andar via.
E dovrei farlo, non avrei altra scelta.
Dovrei.
Se non sapessi che è estate, quasi sentirei freddo.
Se non sapessi che, toccandoti, sentiresti freddo tu, so che ti toccherei.
Ma lo so.
Ci sei?
Adesso dove sei, dove siamo?
Adesso ci rincorriamo e non ci vediamo, ci osserviamo in segreto e ci accarezziamo da lontano, che poi tanto lontano non è.

Te lo ricordi? Così vicini, così lontani.

Forse ci sarà un’altra notte per guardar le stelle, forse dondoleremo ancora e la luna farà tutto quel che c’è da fare, forse troveremo di nuovo la nostra stella, l’unica che hai ammesso sorridesse.

Hai visto che le stelle sorridono?

Adesso no, adesso ci guardiamo da lontano, da quel lontano che poi tanto lontano non è, anche se, poi, non riesco a vederti nemmeno con il mio cannocchiale.
Pensare che io il cannocchiale non l’ho mai avuto! Pensare che un cannocchiale servirebbe a te, adesso.
Adesso che, tutto questo, posso solo vederlo da una stella.
Adesso che io non ci sono più.