24 settembre 2010

Pensieri d'una notte svelata dalla luna



Magritte, La page blanche



La notte è incartata nel blu profondo e nella luce della luna che le nega la possibilità d’un nascondiglio.
Silenziosa, attenta e bugiarda. Come sempre. La bevo tutta in un bicchiere di cristallo. È lì che si riflette e riflette la magia di pensieri inzuppati nel bianco latte senza latte. Trasparente. Come sono io, come non è la luna, come, forse, è quel bianco latte. Bevo tutto in un sol sorso. Solo un sorso e una formula magica. L’incantesimo è fatto e la notte svelata.


[Dicono che nelle notti di luna piena ogni incantesimo sia possibile. Lo dice anche la luna. Sento di credele... ]


Maybe...

23 settembre 2010

QUELLO CHE LE PAROLE NON DICONO, MA IL NEBBIOLO Sì!




Sario è il fidanzato più fantasioso che abbia mai avuto. Ci siamo conosciuti a un vernissage d’arte contemporanea. Lui faceva finta di sapere tutto sull’arte contemporanea, io facevo finta d’essere una delle pittrici in mostra. Perché? Credo che entrambi avessimo avuto una brutta nottata e volessimo convincerci non fosse appartenuta a noi.
Ad ogni modo, nel giro di mezz’ora di chiacchierata,  mirata a rafforzare nell’altro la convinzione sulle nostre false identità, siamo scoppiati a ridere entrambi e abbiamo lasciato la mostra ai suoi reali autori ed intenditori.
Sario è un pittore, quando me l’ha detto la prima volta non ci ho creduto, visti i precedenti. Poi, però, mi ha fatto visitare il suo studio e me ne son convinta. D’altro canto, io sono un’esperta d’arte. Sono riuscita a vincere la diffidenza di Sario dopo una giornata trascorsa a rispondere alle sue domande con documentazione alla mano. Cosa non si fa per amore!
Insomma, dopo una serie d’indagini reciproche, suffragate da prove e intervallate da bellissimi pomeriggi impiegati a rivisitare in chiave contemporanea tutte le versioni possibili del bacio, abbiamo deciso che l’unico modo per rendere quell’incontro, così surreale, un’opera d’arte era legarci per non scioglierci mai più.
Questo è quello che speravamo entrambi e questo è quello che Sario ci teneva a sottolineare quando una sera, mentre cercava di dipingermi il viso in modo che sembrassi una creatura di Picasso, ha stappato con decisione una bottiglia di Brindisi DOC. Mi ha versato un bicchiere del buon vino salentino e mi ha detto: “D’ora in poi sarà il vino che sceglierò a dirti quello che provo e, avendo scelto un vino della mia terra, corposo, robusto e deciso, avrai capito che faccio sul serio!”.
Per un tipo creativo come me, questa era davvero una bella trovata!
Con il tempo ho imparato a capire Sario e anche a conoscere i vini. C’è da dire che lui era davvero un intenditore ed è facile immaginare come amassi i vini rossi e corposi, mi piacesse perdermi in quelli rosati, mi stuzzicassero quelli frizzanti, mi piacessero meno quelli bianchi e secchi.
Passione, gioco, romanticismo, dissapore… ogni vino diceva qualcosa e Sario comunicava benissimo in questo modo.
I problemi sono iniziati quando il vino giallo paglierino ha preso il sopravvento. Giorno dopo giorno i passiti non mancavano mai, io iniziavo a non sopportarli più e anche a ingrassare, visto che Sario teneva tanto agli abbinamenti enogastronomici e il passito si sposa benissimo con i dolci. La sua gelosia era più gialla del giallo di Mirò e io diventavo più nera della fuliggine del mio camino. Un giorno, non ce l’ho fatta più e mi sono affidata ad un Nebbiolo che potesse comunicargli il mio stato di confusione. A quella proposta, Sario ha risposto con un Nero d’Avola: la rottura, per un uomo orgoglioso e deciso come lui, era definitiva ed era anche alquanto arrabbiato.
Non ci siamo più visti. Credo fosse l’unica soluzione.
Sario continua a dipingere e, c’è da dirlo, con quella propensione per i colori continua a farlo divinamente.
 Io mi sono data al vino.
Che avete capito? Avendolo interpretato per tanto tempo, ho fatto di necessità virtù e sono diventata una delle più fantasiose sommelier in circolazione.

1 settembre 2010

narici da riempire di promesse


Primangelo Pondini, Orizzonte lontano



Lei aveva un angolo, era suo, almeno lo sentiva così. Lo aveva scelto in un giorno di dicembre mentre il sole faceva finta di riscaldare e il cielo prometteva neve. La potevi annusare nell’aria quella promessa, e lei inspirò così forte da respirarla tutta. Non voleva lasciare che neppure un respiro si sciogliesse al sole e il sole se ne accorse, ah se se ne accorse! Se ne accorse e arrossì.
“Cosa fai? Non è ancora l’ora del tramonto, come mai sei tutto rosso?” disse lei con un sorriso. Il sole la guardò timidamente, si vergognò d’esser stato geloso d’una promessa e, d’un tratto, schiarì illuminando quel piccolo angolo che era già suo ancor prima d’esserlo. Un piccolo lembo di terra ripiegato come quei fazzolettini ricamati che la mamma non mancava mai di metterle nel taschino. “Abbine cura, piccola mia, è prezioso. Fa' che non si sciupi” diceva la mamma consegnandole quel piccolo triangolo di cotone bianco abitato da punti ch’eran petali di colore. Lei se ne ricordava e non aveva nessuna intenzione di sciuparlo. Se ne ricorda ancora adesso che quel bianco e quei colori li abita tutte le volte che il cielo promette e la terra vacilla. Lei, che si lascia riposare in una curva, mentre sfoglia i suoi colori affidando al bianco la sua promessa di neve.