16 dicembre 2010

Questione di stile




Benvenuto!
Sì, dico a te che sei inciampato tra i miei pensieri, magari sei in pausa come me.
Accomodati, non far caso al disordine, a tutte queste impressioni distratte che ciondolano dal soffitto, alle parole che spintonano per uscire e a quelle che si lasciano dimenticare nascondendosi, senza andar via sul serio.
Ormai ci sei e ci sono anch’io, almeno credo!
Lascia che mi presenti, anche se, è molto probabile tu mi conosca. Avrai sicuramente avuto modo di scorgere il mio volto sulle locandine di qualche importante teatro nazionale o internazionale; sono un fine interprete di Shakespeare, sai?
Chi prendo in giro!
Sì, lo so che non è per questo che mi conosci, ma per quell’odiosa reclame delle suolette deodoranti per scarpe che spopola su tutti i canali TV.
Che si sappia: Neri Bruno ha calcato i più grandi palcoscenici del Paese e di tutta Europa!
Prima che tu me lo dica: no, non mi presento anteponendo il cognome al nome, lo so che non si fa.
Neri è il nome, Bruno, il cognome.
Tutta colpa del mio agente. Arturo Biondi, non gli stava bene, diceva che era troppo comune e che i miei capelli di pece non s’intonavano a quel cognome inzuppato nel sole.
«Neri è un bel nome, Arturo. Originale, sintetico, un nome che lascia il segno!» diceva il mio agente, battendo il suo indice contro la mia spalla.
A te posso dirlo, tanto sei di passaggio: quanto odiavo e odio, visto che lo fa sempre, quei colpetti sulla spalla. Quel dito impertinente sarebbe da mozzare!
Detto questo, credo, non ti sarà difficile venire a capo di come il mio cognome abbia cambiato tonalità senza neppure dover fare ricorso al parrucchiere.
«Bruno! Sì, a me pare un cognome perfetto, fa pendant con il nome. Che ne dici Arturo? Sbrighiamoci a uscire. Prima di andare in ufficio dobbiamo passare dalla tipografia per ritirare i tuoi biglietti da visita con i tuoi nuovi nome e cognome…» e lo aveva detto tutto d’un fiato, senza permettermi neppure di indossare per una breve prova la mia nuova identità, fare un giro e vedere se ci stavo comodo.
Non avevo osato oppormi, non avevo neppure i mezzi per farlo, forse.
Quella volta, Attila, il mio agente, almeno si era risparmiato gli odiosi colpetti sulla spalla. Aveva, invece, optato per un vigoroso colpo sulla scrivania del mio studio. Forse per riacciuffare i miei occhi ormai lontani, forse si era accorto che, mentre radeva al suolo la mia identità, io già non c’ero più.
È così che Arturo Biondi, promettente interprete shakespeariano, diplomato all’Accademia d’Arte Drammatica e indimenticabile visitatore dei più importanti personaggi del drammaturgo Inglese, è andato via.
So cosa stai per dire: «Perché non hai rifiutato?».
Avevo bisogno di soldi, non potevo permettermi più il lusso di scegliere. Dovevo sopravvivere, vivere come più mi piaceva era un optional di cui dovevo fare a meno.
No, non avere quello sguardo triste, anche la pubblicità ha i suoi vantaggi. Adesso, tutti mi riconoscono, ho allargato anche la mia cerchia d’ammiratori, sapessi quanti bambini si ricordano di me e come ci tengono, poi, a mostrare ai loro genitori che sanno riconoscermi: “Mamma, mamma, corri. C’è il signore con i piedi puzzolenti: guarda!”, dicono a gran voce, mentre mi puntano il dito contro.
«Neri, vieni. Siamo pronti per girare». È la voce che interrompe quest’amabile confessione affidata a te, visitatore d’occasione dei miei pensieri.
Credo proprio la mia pausa sia finita, ma se vuoi, assisti pure alla scena.
«Oh, mia amata, buona e bella. A te, che sei la più sfavillante stella, chiedo d’accettare, come pegno d’amore, questo anello nuziale. Mi vuoi sposare?» dico impostando la voce a dovere e sperando che il mio tono studiato possa distrarre dall’improponibile contenuto della battuta.
«Oh, mio amato amore, una dichiarazione così mi lascia senza parole! Ah, no, aspetta! Qualche parola l’ho trovata. Infilerò quell’anello solo se mi prometti che infilerai per sempre nelle tue scarpe la suoletta Puzzavia. Sono buona sì, ma con un olfatto altrettanto buono!» dice una stridula voce femminile, vanificando ogni mio tentativo di conferire a quell’insulso scambio di battute idiote una parvenza di stile.
«Te lo prometto mia cara: le suolette Puzzavia saranno nelle mie scarpe per tutti i giorni della mia vita» e cerco di dirlo con la stessa intensità con cui ho declamato il dubbio amletico nella mia ultima tournée.
Serve a poco.
In silenzio ripeto: “Essere o non essere, questo è il problema”.

6 dicembre 2010

il castello




Gli occhi guardano. Da lontano, da lontano. Una figura confusa e un presagio, una figura confusa e un miraggio. Angoli morbidi e spigoli da poter rosicchiare, ombre che mutano in luce e sapore di buono, cattivo. Non so. Assaggio, assaggia. La sabbia soffia via, la luce è troppo forte. La luce scappa via. Sotto la sabbia, nasconditi, nasconditi bene. Non uscire. Non se non ti riconosce.
 

25 novembre 2010

morsi

Separazione, Munch

La notte mordeva il silenzio. Addentava la vita come se non ne avesse mai avuta una. Senza far rumore, legando a sé il filo teso di una promessa.

[il cuore sorride, adesso]








15 novembre 2010

evaporare


S'è sciolto in un sogno, l'ho visto scivolare. Oltre ogni parola, gesto, esitazione. Nel medesimo luogo in cui tutto è nato, in cui tutto, adesso, evapora. Lentamente.


[e se l'errore mi ha presa con sé: dimmelo, ma dimmelo piano]


7 novembre 2010

pensiero scalzo

Escher, Bond of Union


Scivolava tra le pieghe della sua anima stropicciata, senza chiedere il permesso. A piedi muti, per non disturbare.

2 novembre 2010

luoghi naturali

Marc Chagall, Les amants au ciel rouge


Svelami. Un velo alla volta, un pensiero alla volta, spogliami. Vestimi di sfumature che non ho, di carezze che non sento, di voce. Voglio solo addormentarmi sulle tue viscere, ascoltare i tuoi pensieri più nascosti. Nascondermi e ritrovati. Ritrovarmi. Ritrovare, tra il tuo respiro e il mio, il nostro luogo naturale.









[tutto tace
 tutto è rosso
 tutto grida
 anche se non lo so
 anche se non lo sento
 anche se...
 non è, poi, così importante]


14 ottobre 2010

pizzichi









Se la luna non fosse così brava a dire bugie e le nuvole fossero di zucchero filato, credo che risparmierei un pizzico e l’altro l’affonderei, leccandomi le dita. Lo aveva pensato così, tra un filo di rame e l’altro nascosto tra i capelli. L’aveva pensato una sera d’ottobre che aveva mandato giù tutte le domande, senza aver nessuna intenzione di restituire le risposte. 








Foto di naimablu

12 ottobre 2010

Traiettorie a punto croce


W.M.Turner, Snowstorm: Hannibal and His Army Crossing the Alps


Due occhi guardano l’obiettivo. Guardano e dicono. Stanchi, si abbandonano alla luce ovattata che li avvolge. Una foto dopo l’altra, un occhio dopo l’altro. “Non ho mai capito niente! Forse”. Due occhi si guardano riflessi nell’obiettivo. Faticano ché oggi è così: una faticosa e ovattata giornata di ottobre. “La luce non è delle migliori!”. È la luce giusta, l’unica possibile. “Sembra un sogno, lo sai?”. Invece no, è tutto vero ed è del color bitume di quelle nuvole che fanno chiasso nei pomeriggi rattoppati. “Guarda, c’è un rospetto rosso, vuoi baciarlo?”. No, i rospi restano rospi, le favole restano. Favole, appunto. Ahi! “Lo sapevo che ti saresti fatta male, quante volte ti ho detto di usare il ditale, ma tu niente, tu ricami a mano libera e pretendi che vada tutto liscio”. Veramente era un punto a croce. Nella croce c’è un punto, almeno uno, in cui ci si incontra. No, sono linee parallele, sono sicura. Le ho viste bene. Gli occhi sono stanchi, sfuggono l’obiettivo che li insegue. La vita vive di istantanee, una dopo l’altra, un occhio dopo l’altro. Una sola croce e linee parallele a cui siamo destinati. Da percorrere con cautela, dando poca confidenza ai rospi e sfuggendo l’obiettivo. Per quanto possibile.





10 ottobre 2010

blu

Costantino Contini, Sodalizio blu



Il nodo si scioglie, scivola tra le mani. Non le stringo, non più. Il bianco è diventato blu e tutti i colori lo sanno. Uno strappo. Il silenzio, finalmente, ha qualcosa da dire.






6 ottobre 2010

All'ombra del pistacchio sghembo







Adesso dovrebbe partire una canzone in sottofondo. Parte sempre una canzone in sottofondo in momenti come questo. Che momento è? Non lo so, dimmelo tu, io, intanto, mi siedo, ascolto la canzone e, mentre tu non mi vedi, rubo un pezzetto di torta. Come l’hai fatta, cosa ci hai messo? Vabbe’, ci pensiamo dopo, anche perché, se ti chiedo, scopri che il mio dito indice sa di…pistacchio? Dimmi di sì, dimmi che c’è quel verde, proprio quel verde lì! Mi sistemo sulla sedia, le gambe proprio non ce la fanno a star ferme, intanto, mando giù la torta. Che sapore ha? Non lo so, l’hai fatta tu e di pistacchio nemmeno l’ombra. Ne cerco una per l’occasione, la rubo al mio dito indice che percorre, in tutta fretta,  il tragitto tra la torta e la mia bocca, senza dar confidenza a nessuno, s’intende. Ombra trovata! Al momento giusto. Sì? Perché che momento è? Non lo so, tu lo sai? Io so che è andata così: avevo voglia di vederti, sono venuta a trovarti, è partita una canzone, mi son seduta e, mentre cercavi la risposta giusta, ho assaggiato la tua torta. L’ hai trovata? Magari ripasso, magari non è il momento giusto. Grazie per la torta, per l’ombra pistacchio che non c’è, per la canzone e per tutto il da fare che ti sei dato. Ora devo proprio andare, ma ripasso, prometto che lo faccio, non foss’altro per capire in quella torta cosa c’è, forse è lì che hai nascosto la risposta e hai dimenticato. Spero solo di non aver rovinato la tua torta rubandone un po’. Non ho ancora capito se mi piaccia o meno, ma una cosa posso dirtela: con la canzone e tutto il resto, ci sta una meraviglia. Cambierei solo i colori, secondo me il rosso ci sta meglio del marrone, per il resto: BUON APPETITO!

 
[Dopo vari tentativi per far partire la canzone giusta, sono giunta alla conclusione che: non c'è una canzone giusta! Quindi, fai partire la canzone che ti pare. Io ho già fatto partire la mia]


1 ottobre 2010

Zuccozuccò

Zucca rossa 1999, Maurizio Bottoni

Ho deciso! Cucinerò il risotto con la zucca! Perché? È arancione (prima risposta balzata alla mente con un triplo avvitamento dal cucchiaio alla pentola con il brodo). Cavoli, che salto. No, no, no, non devo confondermi: il cavolo non ci vuole. Che cavolo dici? Zitto, il cavolo non c’entra niente. Piango! È la cipolla, ho dimenticato di mordere un micropezzetto di micropane. Me lo ha detto nonna che si fa così. Nonna prepara il pane e le pizze che vuoi che ne sappia del cavolo e della zucca? Ha mai fatto la pizza alla zucca? Che cavolo dico! Nonna il 26 novembre compie novant’anni. Lo so che non c’entra un cavolo con il risotto, ma lo dovevo dire, non foss’altro che è da giugno che vuole festeggiare “Perché poi se non c’arrivo?” e, così, si festeggia domenica. Hai detto cavolo. Ho detto cavolo, allora? Allora il cavolo ci vuole. No, ci vuole la zucca, poi, la cipolla, ma solo perché il risotto è commovente e anche il brodo. Alt! Mi fermo, faccio un passo indietro, un giro sovversivo in senso antiorario su me stessa, respiro e, quando nessuno è in grado di capire cosa farò, batto il cucchiaio di legno sulla pentola. Io O-D-I-O il brodo! Il brodo tutt’attaccato.  Il brodo nel risotto alla zucca recita la parte dell’uomo invisibile. Dici la verità? Non me lo dire. Ti credo. Brodo sia! Adesso, dovrei agitare il cucchiaio, come una bacchetta magica, far nevicare un po’ di parmigiano. Ci risiamo. Sì, dai, risiamoci. Come si fa? Silenzio. Serio. Sto facendo una magia: “Zuccozuccò che buono sto risò”! Dico che dovresti venire a cena, porta i fazzoletti e aggiungi un posto a tavola per il brodo: è amico tuo, io non ne voglio sapere niente.


Auguri nonna V.

24 settembre 2010

Pensieri d'una notte svelata dalla luna



Magritte, La page blanche



La notte è incartata nel blu profondo e nella luce della luna che le nega la possibilità d’un nascondiglio.
Silenziosa, attenta e bugiarda. Come sempre. La bevo tutta in un bicchiere di cristallo. È lì che si riflette e riflette la magia di pensieri inzuppati nel bianco latte senza latte. Trasparente. Come sono io, come non è la luna, come, forse, è quel bianco latte. Bevo tutto in un sol sorso. Solo un sorso e una formula magica. L’incantesimo è fatto e la notte svelata.


[Dicono che nelle notti di luna piena ogni incantesimo sia possibile. Lo dice anche la luna. Sento di credele... ]


Maybe...

23 settembre 2010

QUELLO CHE LE PAROLE NON DICONO, MA IL NEBBIOLO Sì!




Sario è il fidanzato più fantasioso che abbia mai avuto. Ci siamo conosciuti a un vernissage d’arte contemporanea. Lui faceva finta di sapere tutto sull’arte contemporanea, io facevo finta d’essere una delle pittrici in mostra. Perché? Credo che entrambi avessimo avuto una brutta nottata e volessimo convincerci non fosse appartenuta a noi.
Ad ogni modo, nel giro di mezz’ora di chiacchierata,  mirata a rafforzare nell’altro la convinzione sulle nostre false identità, siamo scoppiati a ridere entrambi e abbiamo lasciato la mostra ai suoi reali autori ed intenditori.
Sario è un pittore, quando me l’ha detto la prima volta non ci ho creduto, visti i precedenti. Poi, però, mi ha fatto visitare il suo studio e me ne son convinta. D’altro canto, io sono un’esperta d’arte. Sono riuscita a vincere la diffidenza di Sario dopo una giornata trascorsa a rispondere alle sue domande con documentazione alla mano. Cosa non si fa per amore!
Insomma, dopo una serie d’indagini reciproche, suffragate da prove e intervallate da bellissimi pomeriggi impiegati a rivisitare in chiave contemporanea tutte le versioni possibili del bacio, abbiamo deciso che l’unico modo per rendere quell’incontro, così surreale, un’opera d’arte era legarci per non scioglierci mai più.
Questo è quello che speravamo entrambi e questo è quello che Sario ci teneva a sottolineare quando una sera, mentre cercava di dipingermi il viso in modo che sembrassi una creatura di Picasso, ha stappato con decisione una bottiglia di Brindisi DOC. Mi ha versato un bicchiere del buon vino salentino e mi ha detto: “D’ora in poi sarà il vino che sceglierò a dirti quello che provo e, avendo scelto un vino della mia terra, corposo, robusto e deciso, avrai capito che faccio sul serio!”.
Per un tipo creativo come me, questa era davvero una bella trovata!
Con il tempo ho imparato a capire Sario e anche a conoscere i vini. C’è da dire che lui era davvero un intenditore ed è facile immaginare come amassi i vini rossi e corposi, mi piacesse perdermi in quelli rosati, mi stuzzicassero quelli frizzanti, mi piacessero meno quelli bianchi e secchi.
Passione, gioco, romanticismo, dissapore… ogni vino diceva qualcosa e Sario comunicava benissimo in questo modo.
I problemi sono iniziati quando il vino giallo paglierino ha preso il sopravvento. Giorno dopo giorno i passiti non mancavano mai, io iniziavo a non sopportarli più e anche a ingrassare, visto che Sario teneva tanto agli abbinamenti enogastronomici e il passito si sposa benissimo con i dolci. La sua gelosia era più gialla del giallo di Mirò e io diventavo più nera della fuliggine del mio camino. Un giorno, non ce l’ho fatta più e mi sono affidata ad un Nebbiolo che potesse comunicargli il mio stato di confusione. A quella proposta, Sario ha risposto con un Nero d’Avola: la rottura, per un uomo orgoglioso e deciso come lui, era definitiva ed era anche alquanto arrabbiato.
Non ci siamo più visti. Credo fosse l’unica soluzione.
Sario continua a dipingere e, c’è da dirlo, con quella propensione per i colori continua a farlo divinamente.
 Io mi sono data al vino.
Che avete capito? Avendolo interpretato per tanto tempo, ho fatto di necessità virtù e sono diventata una delle più fantasiose sommelier in circolazione.

1 settembre 2010

narici da riempire di promesse


Primangelo Pondini, Orizzonte lontano



Lei aveva un angolo, era suo, almeno lo sentiva così. Lo aveva scelto in un giorno di dicembre mentre il sole faceva finta di riscaldare e il cielo prometteva neve. La potevi annusare nell’aria quella promessa, e lei inspirò così forte da respirarla tutta. Non voleva lasciare che neppure un respiro si sciogliesse al sole e il sole se ne accorse, ah se se ne accorse! Se ne accorse e arrossì.
“Cosa fai? Non è ancora l’ora del tramonto, come mai sei tutto rosso?” disse lei con un sorriso. Il sole la guardò timidamente, si vergognò d’esser stato geloso d’una promessa e, d’un tratto, schiarì illuminando quel piccolo angolo che era già suo ancor prima d’esserlo. Un piccolo lembo di terra ripiegato come quei fazzolettini ricamati che la mamma non mancava mai di metterle nel taschino. “Abbine cura, piccola mia, è prezioso. Fa' che non si sciupi” diceva la mamma consegnandole quel piccolo triangolo di cotone bianco abitato da punti ch’eran petali di colore. Lei se ne ricordava e non aveva nessuna intenzione di sciuparlo. Se ne ricorda ancora adesso che quel bianco e quei colori li abita tutte le volte che il cielo promette e la terra vacilla. Lei, che si lascia riposare in una curva, mentre sfoglia i suoi colori affidando al bianco la sua promessa di neve.

15 agosto 2010

pieghe


[Pensieri ripiegati si sgretolano tra le dita sedotti dal calore del sole]

pensieri
calore
sole

[Vestirò solo pensieri stropicciati]

pensieri

calore
ombra

[Tra le pieghe scomposte d’un pensiero stropicciato chiaroscuri in cui danzare]

pensieri

calore
girandole

[Danza di pensieri e fiori, un soffio per lasciarli andare]

Pensieri [ormai volati via]
calore [scivola ancora tra le dita]
aquiloni [per poterli ritrovare]




[grazie al mare di Napoli ché le pieghe son sue]


"Resta ancora
resta per favore e guarda come
vola tra coriandoli di cielo
e manciate di spuma di mare.
Adesso vola.
Le piume di stelle
sopra il monte più alto del mondo
a guardare i tuoi sogni arrivare leggeri.
Vooolaaaa…
Adesso vola.
Oltre tutte le stelle, alla fine del mondo,vedrai, i nostri sogni diventano veri!"


[...i nostri sogni diventano veri. veri. vero?]

13 agosto 2010

chissà perché chissà per come, come?


24 ore, Sergio Frediani

Tutto è giallo. Un’enorme distesa d’acqua, terra, luce, sole e chi più ne ha più ne metta, proprio così: gialla! Sole, sale, solo. Solo che io, io dovrei ancora fare la valigia, ma qualcosa la lascio a casa. Cosa? Sì, qualcosa la lascio a casa, ti lascio a casa, ti chiudo nella scatola che canta e ti tappo la bocca e anche gli occhi e anche le orecchie. Schhh...! Silenzio, solo silenzio, nella scatola che canta canzoni senza capo né coda. No, no, i capelli li tengo sciolti: la coda è un limite alla loro libertà svolazzante e strafottente. Intanto i vestiti son diversi, le scarpe son diverse, i sandali sanno già di polvere e vento, polvere e vento, polvere. Soffio! La polvere è volata via insieme al vento, poi, il vento ha cambiato strada. Chissà perché e chissà per come. Come, come, cosa? Cosa ci faccio qui, in mezzo a questa enorme distesa gialla d’acqua, terra, luce, sole tutta sola? La valigia, è gialla anche la valigia. Ho ingoiato un moscerino. Tutto normale, tutti contenti, tutto dentro la valigia e tu: silenzio, se non la smetti di far chiasso ti imbavaglio con la coda d’una canzone senza coda. E non sto scherzando. Rido!

9 agosto 2010

Percorsi zen e supercalifragilistichespiralidosi eventi



[Immagine: Jeff Wall]


Un tale che osservo da un po’, tutte le mattine, compie gli stessi movimenti, percorre lo stesso percorso, svolge le stesse attività; eccezion fatta per il sabato, la domenica e i giorni festivi. Anche in questi tre casi, però, tutti i sabati, le domeniche e i giorni festivi, sono vissuti allo stesso modo. Qualcuno direbbe: ”Se sei un po’ nervoso un motivo ci sarà”[cit]. Quel tale, però, è calmissimo: un uomo zen! Io, sarei nervosa, lui è calmo. Beato lui. Beato lui? No, che dico? Mi giustifico così: dire qualche idiozia mi allontana da quel tale!
Sapete, la lettura de La coscienza di Zeno o de L’idiota o, preferibilmente, di entrambi, può cambiarti la vita. Forse la cambierebbe anche al tale, probabilmente, uno di questi giorni glielo dirò, gli comparirò davanti all’improvviso, gli sbarrerò la strada e gli affonderò tra le braccia i due romanzi dicendogli: “Sarai un po’ nervoso ed un motivo ci sarà”. Forse no. Forse li leggerà e, quando avrà finito, inizierà a rompere gli schemi, a stravolgere la sua vita zen rendendola una vita supercalifragilistichespiralidosa. Forse non sarà neppure un po’ nervoso per chissà quale motivo. 
L'ho fatto! Patapum! Un ruzzolone. Me l’aspettavo, lo aspettavo. Il tale non ha retto l’affondo dei romanzi, è a terra, mi guarda impietrito e, senza dire una parola, abbandona il mio prezioso regalo sull’asfalto e va via indignato, percorrendo lo stesso, immutabile, medesimo… insomma, noioso percorso.
Non riesco a staccare lo sguardo dall’asfalto, mi concedo una fugace occhiata al tale che va via: stesso passo, stessi movimenti, stessa strada, stessa…
Sorrido, guardo l’orologio del campanile della chiesa e sorrido: il tempo! Danzo al suono dei rintocchi dell’orologio e penso: il tempo!In quel preciso e oliato meccanismo sono riuscita a mutare l’elemento più prezioso: il tempo!
Il tale non è più zen, sembra nervoso ed io ne conosco il motivo, sorrido ancora raccogliendo i miei due preziosi romanzi e vado via pensando: “Ho dimenticato Mary Poppins!"
La coscienza di Zeno o L’idiota o, preferibilmente, entrambi possono cambiarti la vita, ma senza un poco di zucchero e il coraggio di tuffarsi in un disegno a gessetto, la pazzia e l’idiozia mancano di qualcosa. Non è necessario capiate. Non era necessario neppure scrivere, forse. Forse, perché questa storia io volevo raccontarla anche solo per far dispetto al tale, anche solo per farlo ruzzolare. Patapum!
 



[ringrazio Svevo e Dostoevskij per tutte le volte che mi hanno dato spunti supercalifragilistichespiralidosi e mi dispiace davvero tanto non poter trascorrere una serata in loro compagnia.
ringrazio Ligabue, perché "Vivo morto o X" ci sta sempre.
ringrazio Jeff Wall per aver riassunto la mia storia con un solo scatto e
Sario per avermi fatto conoscere Jaff Wall e questa foto che è la sua preferita.
ringrazio i Modena per questa canzone [punto]

ringrazio la mia maestra delle elementari per tutti i temi idioti che mi assegnava.
ringrazio Mary Poppins, perché senza di lei il "tale" non so proprio dove avrei potuto pescarlo.
ringrazio me stessa per riuscire a pescare senza mai averlo fatto.
ringrazio anche mamma per la parmigiana che sta cucinando
....poi, vorrei ringraziare anche tante altre persone, ma ho sonno, non se l'abbiano a male.]

3 agosto 2010

punti di squilibrio

The Arbitrary Changes Of The Season, Olbinski



"C'era una volta". No! Se dico: "C'era una volta", dico: "Adesso non c'è". "Adesso non c'è": non dico una bugia. Allora: sì! Aspetta, quando vi siete persi? Mai! Come: mai? "C'era una volta". Io mica lo so. Io c'ero! Io [punto] Dunque, c'ero io e basta, quindi non ci siamo persi mai. Dove sono? Qui. Dove sei? "Adesso non c'è". No, non c'è. Io sì, io c'ero e ci sono [punto esclamativo] "C'era una volta" (lo posso dire) una storia in cui c'era e c'è qualcuno che non va via e qualcun altro che non se n'è mai andato [punto interrogativo] Sì, "punto interrogativo" ché mica lo so se è sì o è no [punto e basta]




26 luglio 2010

Picasso e lampioni ( di Valentina Luberto e un racconto ospite di Sario Laveneziana)

 
Questa è una storia vera. No, non storcere il naso, è vera posso assicurartelo e te l’assicuro con la stessa convinzione con cui ho addentato il mio pane e marmellata questa mattina.
Ascolta, c’era una volta uno schizzo, sì uno schizzo.
Era scappato dalle grinfie d’un pittore da quattro soldi, era uno schizzo raffinato lui e un giorno disse:”Basta! Non posso continuare ad essere torturato da questo incapace dal tratto rozzo e indelicato”. Come dargli torto? Lui al tratto ci teneva e anche alla sua reputazione. Un bel giorno, approfittando del pittore pasticcione che non trovava più i tappi dei colori, schizzò via!
Che bella la vita dello schizzo libero, quante cose nel mondo ancora da colorare e, soprattutto, quante parole, parole, parole… insomma, parole.
Lo schizzo, dopo tanto vagare, si trovò sotto un lampione.
“Che strano questo giallo, io un giallo così non l’ho mai visto! Magari sta male: lampione, stai male?”.
Lo schizzo era spontaneo, raffinato, ma spontaneo, qualcuno direbbe quasi un idiota.
Idiota nel senso più alto del termine s’intende, fatto sta, che il lampione non la prese proprio bene questa domanda e, per tutta risposta disse allo schizzetto impertinente:
”Chi saresti tu, piccolo ciuffo di colore andato a male? Questo è un “giallo lampione”, un tipico “giallo lampione” !”.
Lo schizzo divenne tutto rosso e si sentì proprio male, soprattutto perché il rosso con il giallo ci faceva proprio a pugni, era sempre uno schizzo raffinato lui!
“Scusa, ma ti ho visto così, giallo, tutto storto, insomma credevo avessi mal di pancia e ti contorcessi , che avessi fatto indigestione”, disse a mezza voce temendo le ire del lampione che non tardarono ad arrivare.
“Idiota!” disse a gran voce il lampione.
“Lo so!” disse fiero lo schizzetto.
“Io non sono un lampione qualsiasi, io sono stato creato da Picasso”.
Lo schizzetto divenne ancora più rosso: non aveva riconosciuto un Picasso!
Cercò subito di rimediare: “Picasso e lampioni?”, qualcosa gli diceva avesse peggiorato più che migliorato!
“Cos’avresti da dire? Picasso fa ciò che vuole, un giorno ha pensato a me e mi ha creato, così contorto perché in quel periodo ero un po’, come dire, sì, proprio contorto” il lampione diventava sempre più giallo e si contorceva sempre più!
“Ah, ecco perché non riuscivo a capirti, sai, io le cose contorte non le capisco, perdo sempre il filo e, quando lo ritrovo è troppo tardi, però, secondo me, con un tono di giallo più chiaro staresti meglio!”, osò proporre lo schizzetto che intanto volgeva all’arancio!
Il lampione diventava sempre più giallo e si contorceva sempre di più, lo schizzetto, che era sempre uno schizzetto esteta, ma anche un po’ idiota, non sapeva più come fare per stemperare quella tinta che i suoi occhi raffinati proprio non riuscivano a tollerare, così a gran voce, senza esitazione e con tutta la sicurezza di cui era capace esclamò:
“Ti consiglio di tranquillizzarti, il giallo così carico non è assolutamente elegante e non lo sei neppure tu con quel tuo fare arrogante e pittoresco!”
“Non capisci un lampione!” sentenziò il lampione ormai sull’orlo di una crisi di nervi!
Lo schizzetto si fece pensieroso, il suo colore adesso era blu, pensò che forse era vero, che i lampioni non li aveva mai capiti, quelli di Picasso, poi, non tentava neppure di provare a capirli, però una cosa la sapeva, il “giallo lampione” proprio non gli piaceva, Picasso l’avrebbe perdonato e lui sarebbe schizzato via alla ricerca di qualcos’altro da colorare, magari meno giallo e meno contorto, era sempre uno schizzo raffinato, lui!

Questo post lo regalo a Sario, che, in una simpatica conversazione sul suo "Asfalto e Kandinskij" (che propongo a seguire) me l'ha ispirato.

ASFALTO E KANDINSKIJ di Sario Laveneziana
Osservo l’aria – sì, riesco proprio a vederla. Nulla di entusiasmante nel farlo, ma a volte si è così impegnati a guardarsi le spalle per osservare ciò che respiriamo. Specchi opachi, piccoli impercettibili esagoni bianchi, oltrepassano il mio sguardo triste. Verso quest’inverno. L’inverno delle parole che lascio accumulare come neve dietro di me; e i ricordi e le memorie del mio io adolescente che ora mi sorride nel vetro diafano della mia macchina. Ed è terribile apnea osservare la propria vita – come in un video anni ottanta – scorrere su un finestrino sporco. Le passeggiate con papà, i primi giochi da tavolo, gli amici riuniti - uniti nello scazzottarsi per una partita al buon vecchio nintendo. La scuola, la maestra d’italiano e l’amore ancestrale per i libri. Leggevo tutto: dagli scontrini ai numeri del lotto il sabato per l’estrazione. Leggevo il messale la domenica e mia nonna sembrava contenta. Potevo tenere una monetina con me, dopo l’offertorio.Pensieri riversati su fogli bianchi e dopo neri accartocciati in ogni angolo della mia camera. Sparivano, come se la realtà li assorbisse e la carta si sgretolasse: poi ossigeno. Respiravo i miei pensieri.I primi amori, i primi amici, e gli ultimi.Ed è come se queste immagini si fondano e si separino trepidamente, e sono ora triangoli e ora circoli, un po’ come avrebbe fatto Wassily Kandisky in un quadro dove forme e colori possiedono un senso singolarmente – ed abbracciate ad altri segni.E’ un po’ come il mio inverno: io credo di essere un cerchio, chiuso in me stesso. Un cerchio blu. Profondo, solo, riflessivo. E ogni persona importante nella mia vita è ospite del mio dipinto, e insieme ci abbracciamo e ci mescoliamo, ci dividiamo evanescenti, ad un tratto. Ma il senso è quello che rimane.Svanisce tutto ora, rabbrividisco all’impatto. C’era un Kandisky sul finestrino, lo giuro. E’ andato via.Seduta in macchina, Clara sistema i suoi capelli corti dietro grandi occhiali vintage. Non riesce ad osservare l’aria. Ma sembra felice. Lo è. Anche io lo sono. – anche io lo sono?Sembro felice. Il cerchio chiuso in sé stesso – blu, sono io – ha assorbito ogni mio desiderio e impeto d’ equilibrio. Devo lasciare le montagne bianche per il caos cosmopolita di una vecchia città, per oltrepassare il mio inverno. E’ arrivata tre mesi fa. Sono le mani di mia madre che, come seta, fanno scivolare un foglio bianco sotto i miei occhi.- E’ la risposta dell’Accademia di Scrittura alla mia lettera!Era la risposta dell’Accademia di Scrittura alla sua lettera. Un suo regalo, brivido d’iniziativa e d’ingegno durante la depressione. Non credo che ne uscirà mai. Aveva raccolto i fogli umidi dei miei pensieri – accartocciati sul pavimento freddo della mia stanza – e li aveva mandati ad una scuola di scrittura. Sa quanto ami scrivere, ma forse non sa quanto ami lei. Mia madre soffre di depressione. Non credo che ne uscirà mai.Maturità conclusa, l’estate è finita.Ho fatto i bagagli, ma ho lasciato fuori le cose più importanti: i miei libri, la mia clessidra, e l’Amore. L’amore-ossessione per ogni singolo pezzo d’asfalto che circonda la mia casa, i sorrisi dei miei amici che ieri sera tramontavano come la luna, l’abbraccio di mia madre nella sua stanza da letto. Eppure, sorrideva. Sapeva di aver compiuto il suo scopo, concedermi un illusione di futuro. Sapeva che domani mi sarei trovato in una città sconosciuta quasi da solo senza il mio eterno inverno, e la neve sulle mie montagne. Eppure, sorrideva.Clara ha smesso di toccarsi i capelli e si è perfettamente posizionata in macchina. La riesco proprio a vedere, occupa la forma perfetta di una donna seduta sul sedile anteriore, pronta per un lungo viaggio. Non siamo soli. I nostri bagagli sono simulacri di ricordi, e ne ho preso uno per ogni persona importante.C’è il gioco in cassetta regalatomi da Andrea, il mio primo bacio – pagina di diario scritta a quattro mani narrante il leggero sfiorarsi di labbra con lei – il messale di mia nonna, la cravatta di papà. Di mia madre non ho nulla, non serve nessun oggetto per evocare il suo ricordo. Basterà respirare, come quando credevo di respirare i miei pensieri, nella mia stanza. Ricorderò.<<>>Clara allaccia la cintura mentre il rumore della mia macchina strugge la solitudine dell’asfalto. Lei, verrà con me. Non possiamo separarci. Studierà lì, la città è piena di risorse per tutti. Sarà un ottimo veterinario.Non siamo due simboli diversi nel dipinto di Kandisky: siamo forma e colore. Lei è il mio cerchio concentrico, io il suo blu intenso. Profondo e malinconico. Come i nostri corpi, i segni ora sono infinitamente due, ora Uno, uno solo. Bramano di sciogliersi ogni volta ed incastrarsi uno nell’altro, nel perfetto gioco del sesso, dei respiri e dei brividi – ci amiamo anche così, accarezzando i nostri corpi, io e poi lei.E mi incammino tra le strade lontane dalle mie montagne, portandomi via un pezzo d’inverno trascinandolo con forza sulle mie spalle, e l’autovettura quasi rallenta al contatto. So che un giorno narrerò il mio Kandisky, la mia neve e il mio asfalto in un libro che molti potranno leggere, e ritornerò qui per gridare e sussurrare e gridare ancora il romanzo che con il mio vagito iniziai a scrivere, e ora con ogni respiro segno virgole e punti.

24 luglio 2010

Partenze sgualcite e sogni da provare ad indossare


Certe partenze non sono come le altre; te ne accorgi dal volume che occupano i bagagli nell'abitacolo della vettura. Molti pensano che un'auto piena riveli una partenza che non preveda un ritorno a breve. Io, invece, penso che più vuota sia l'auto, più voglia si abbia di partire e, forse, son proprio quelle le partenze che mettono in dubbio persino un ritorno. Ho un'auto piccola, una di quelle che quasi non vedi. No, non l'ho presa così perché "è di moda", la mia scelta ha un senso ben diverso. Ho sempre pensato non sarebbe mai stato lo spazio d'una vettura quello che avrei avuto assolutamente bisogno di riempire e, allo steso modo, ho sempre saputo che le cose a cui non avrei mai voluto rinunciare partendo sarebbero entrate in molto meno spazio di quanto si potesse pensare. Quello di cui ho sempre avuto bisogno occupa lo spazio che c'è tra me e i miei sogni. I sogni, quelli, poi, non li lascerei a casa mai! Quelli, son adagiati con cura nella "valigia" a cui tengo di più. "Cuore" lo chiamano tutti così; io la chiamo "valigia dei sogni". Se non fosse che quella forma con due curve e una punta, dicono rivolta verso sinistra, qualche volta la trovi così difficile anche solo da nominare, forse, i miei sogni, ci starebbero anche più larghi dentro. E' lì che li ho sempre adagiati, qualche volta ripiegandoli con cura, altre volte lasciando che qualche piega ne segnasse la superficie ché si sa, non tutti riesci a toccarli per davvero, così, ci lasci qualche segno almeno per non dimenticarli. L'ho appena detto, io con quella "valigia" lì ho un raporto difficlie, ma è anche quella a cui tengo di più. Lo so che ti stai chiedendo "perché" ed io vorrei davvero affidarti una risposta, ma non ce l'ho! Forse è perché, tutte le volte che la apro, i sogni sgualciti son molti di più di quelli piegati con cura che hai indossato o stai per indossare e, forse, è proprio per questo che oggi sto partendo. Lascio quelli che dovrebbero essere i "miei posti", quelli che mi hanno vista crescere, soffrire, gioire e che, ora, non possono nulla per trattenermi qui. Adesso ci siamo soltanto io e una partenza sgualcita che non si può più rimandare. La macchina è pronta, nell'abitacolo nessun bagaglio, solo la mia "valigia dei sogni", solo il cuore ché dovunque vada, qualsiasi cosa succeda: è lì che abito. Da sempre.



18 giugno 2010

quasi silenzio

Concetto spaziale, Attese - G. Fontana


Tutto intorno è bianco, eppure, la neve non c’è.
Tocco quel poco che posso con quel poco che ho.
Una distesa infinita di bianco e solchi profondi, null’altro.
Non più ferita, ma via.
Via ci sono anch’io, almeno un po’, quel tanto che basta per trovare la giusta distanza tra me e un rumore sordo soffocato nell’ovatta.
Quasi silenzio.
In lontananza un fruscio, è solo una lumaca che disegna qualcosa:
la giusta distanza tra l’impressione e il reale.

14 giugno 2010

filoSoffia

Maria Grazia Luffarelli - Festa di papaveri


“La prof d filoSoffia: bello! Ti vedo amante dei soffi d'aria perché quello sono i pensieri:soffi d'aria!”
M. me lo dice così, in un messaggio: uno di quelli tanto brevi da non lasciar scampo.
Io ed M. ci siamo incrociati in una foto, poi, tra qualche parola, niente di più.
Eppure, M. sembra proprio aver capito tutto, forse più di me.
Lui sorride, non è che sorrida a questo o a quello: sorride alla vita e te ne accorgi dal fatto che non serve molto per fargli allargare gli angoli della bocca.
La sua, però,non è una risata sciocca, al contrario, è il suo modo per accogliere la vita e lui, la vita, la vuole abbracciare proprio tutta.
Ha qualche idea confusa su quello che sarà, parla di giardini e fiori: “Serve un buon fiorista!”, dice, ma fa sempre parte di quella filosofia tutta sua che, qualche volta, faccio fatica a comprendere anch’io.
Non mi sforzo, non perché non sia interessante, semplicemente, non è necessario.
Perché voler capire sempre tutto?
Alle volte, è bello anche stupirsi per l’incomprensibile, soprattutto se porta a qualcosa di buono.
Fin'ora, M. e le sue idee, mi hanno contagiata strappandomi sorrisi.
Proprio come questa cosa della “filoSoffia”.
“Perché quello sono i pensieri: soffi d'aria!”, ripeto in silenzio.
Caro M., spero proprio che tu abbia ragione e spero che i miei soffi, abbracciando il vento, possano volare lontano.
Chissà che non riceva una risposta: una carezza di vento sul viso e un soffio caldo sul cuore.
Niente di più.

28 maggio 2010

A due voci


Die Tanzerin - Egon Schiele



“Non ci credo, no, non ci credo!” dice la voce bambina.

Vera ha una voce che proprio non riesce a zittire, anche se ce la mette tutta.

“Shhhh…piccola mia, vieni qui, stringiti forte a me e vedrai che passerà tutto.” dice una voce che pare accarezzare con dolcezza le incertezze della voce bambina.

Vera è capace di avvolgere con la stessa decisione dell’onda che prende con sé l’inquietudine del mare.

“Dici che un giorno sarà tutto lontano? Abbastanza lontano da non fare più così tanto male? Perché fa male, mi fa male, anche se qualche volta faccio finta di no.” mentre lo dice, la voce bambina, affonda il viso nella piega del braccio a cui si stringe con tutta la forza che ha.

Vera, qualche volta, ama nascondersi; è così brava a trovare nascondigli che succede che conti fino a cento e non riesca a trovarsi più.

“Dico che i fiori di pesco sbocciano puntuali a ogni primavera colorandola di rosa e dico anche che trovo delizioso questo colore quando danza tra i tuoi pensieri.”

Vera sa quel che dice e lo dice con serenità, come se, nonostante faccia ancora tanto freddo e la primavera sia così lontana, a quell’appuntamento volesse essere più puntuale dei fiori di pesco.

“Mi fa male lo stesso. Non va via. Non riesce ad andar via. Non voglio vada via: l’ho detto!" punta i piedi la voce bambina e lo fa con forza, spingendo il naso all’insù, quasi con irriverenza.

Vera, spesso, ha rischiato di cadere proprio per quella sua mania di guardare il cielo e seguire i contorni delle nuvole per disegnarle con il naso.

“Dillo piccola mia, forte, più forte che puoi. Ascoltati mentre lo dici e non aver paura di perdere l’equilibrio. Tu sai volare, ricordalo sempre.”

Vera ha smesso di scappare, è successo quando si è accorta di non avere più fiato, così, ha deciso di fermarsi per un po’. Solo il tempo di riprendere fiato per continuare a camminare e, all’occorrenza, a volare.

“L’ho detto, gridato, ascoltato e adesso? Io non riesco a volare, ho paura di volare, non so più farlo. Non costringermi , mi farei male e so che non vorresti questo per me.”

Vera infila tutti questi pensieri nel singhiozzo più lungo che ha. La stretta è sempre più forte e le piccole e candide gambe si incrociano senza trovar pace. Potrebbe cadere, ma non cade, come quando passeggia con il naso all’insù e si meraviglia d’esser così brava a disegnare tra le nuvole.

“Guarda, quelle non sono soffici e bianche ali? Chi è arrivata fin lassù per disegnarle? Sei stata tu! Allunga le braccia e afferrale!”

Vera, quelle ali le ha già viste altre volte, tutte le volte che credeva di non trovarle, di non trovarsi. Sa che funzionano: sono state disegnate con il naso e il naso non sbaglia mai.

“Io le prendo, mi fido. Sono così bianche e soffici, sembrano ciuffi di panna montata. Che buoni…voglio dire, che belli. Se poi mi viene voglia di mangiarli?"

Vera sorride, gli occhi sono tutti per quel pensiero bianco montato che quasi vuole assaggiare. La stretta non c’è più, adesso, le braccia sono tese a calcolare la distanza tra il naso e quei golosi ciuffi di panna svolazzanti.

“Mangia quel che vuoi, fa di quelle ali cibo per i tuoi pensieri di primavera, intreccia fiori di pesco tra i capelli e porta sempre con te la meraviglia dei tuoi grandi occhi curiosi. Andrà via e tu arriverai in tempo all’appuntamento, non ti perderai stavolta e, se succederà, basterà alzare gli occhi al cielo per ritrovati."

La paura non è andata via, Vera continua ad averne tanta, ma, adesso, ha anche un paio d’ali e una compagna di viaggio pronta a disegnarle la strada con il naso. Non è mai stata brava a disegnare, ma a nessun altro potrebbe affidare la mappa del suo viaggio. Soltanto occhi come quelli possono guidarla, occhi che guardano oltre, occhi che riescono ancora a guardare attraverso le bolle di sapone.

“Soffia”
“Sì, soffio”
“Ecco, adesso ci sono anche i colori. Sono pronta a disegnare”
“Sono pronta a volare”



12 maggio 2010

senza titolo



“Dove vai?”, mi chiedevi e a stento riuscivo a trattenere il mio sguardo in un respiro.
“I frutti sono maturi ed io ho una gran voglia di assaggiarli” rispondevo così nel tentativo di nasconderti semi di mela che tracciavano il sentiero tra i miei occhi e la strada.
Sempre diversa, sempre la stessa, eppure, sempre io.

5 maggio 2010

Dentro

New York interior - Hopper


Ho barattato con la luna una bugia per una bugia. Adesso, io e la mia bugia, ce ne stiamo in un piccolo angolo azzurro e arancio solo per noi. Abbiamo tutto quello che ci serve: il sole e un bel cielo in cui ricamarlo. Hanno provato a darci di più, che poi per noi è di meno, ma a noi non interessa. Ci bastano il sole, il cielo e ago e filo per ricamare. Ci piace il punto a croce, così siamo sicuri non ci lasceremo mai.
– Prima o poi c’incastreremo.- dice la mia bugia. Io le credo, non perché me l’abbia data la luna, ma perché lo sento.
- Tutto quello che senti è vero.- questo non lo dice la mia bugia. Questo lo dico io, forse lo diceva anche qualcun altro, di sicuro non la luna. Lei, la luna, non dice niente, ti guarda con il suo sguardo obliquo e ti sorride a metà, poi, tu decidi: prendere o lasciare.
Prendo!
Hai mai visto un cielo senza sole? E una croce con una stanghetta sola?
- Prima o poi c’incastreremo- penso.
Penso che la mia bugia è così sicura mentre lo dice ed io lo sento così forte.
Prendo!
E mentre lo dico mi ripeto: “Tutto quello che senti è vero”
- Lo so, è così vero che posso perfino toccarlo!- dico più convinta della mia bugia, ma stringo le mani e sono vuote.
No, non proprio vuote c’è un filo sottile, è rosso.
C’è, a me basta questo.
Ho un tramonto da ricamare in un cielo azzurro e un filo rosso. Potrei avere di più, per me è ancora meno.
Credo non lascerò, no: “Prendo!”.
Sì, prendo e, mentre lo penso, cerco di ritrovare il capo del filo rosso.
La luna continua a sorridere, io dormo tra le sue braccia, strigo il mio filo rosso e penso all’ago e alla paura che ho di pungermi, ancora.
- Tutto quello che senti è vero- mi basta ripeterlo per crederci e per sapere che non ho più paura.

19 aprile 2010

fuga d'aprile

Identity of meaning, R. Olbinski


Succede che in un pomeriggio d’aprile hai voglia di andar via. Per un po’, non importa dove, ma lontano. Così, vai in quel posto solo tuo dove tutto ha sempre avuto colore, sapore e odore diversi che se ti chiedono di spiegarlo, tu nemmeno sai trovare le parole giuste. Parole, come se per ogni cosa ce ne fosse una, due, tre… anche di più, ma mi fermo al tre ché il tre mi assomiglia, tanto. Tanto tempo fa, c’era una terrazza e, su quella terrazza, una bambina giocava con il sole, confidava i suoi segreti al vento, aspettava la pioggia. Se ne accorgeva quando la pioggia decideva di arrivare, lei stava lì, salutava le nuvole scure e andava via. Non prima, non prima di aver salutato le sue amiche tutte avvolte nel tulle fumo di Londra o almeno lei le vedeva danzare così. Aveva sempre avuto un certo riguardo per quegli sbuffi grigi: "Del resto, anche alle nuvole può andar storto qualcosa!”, si diceva. Le nuvole arrivavano e lei le salutava andando via in silenzio. Perché sono arrivata fin qui? In terrazza, la mia terrazza intendo. Ricordo: è successo. Succede, poi, che ascolti parlare di te tra timbri postali sbiaditi e ricordi d’attesa. Ascolti e senti, non come allora, un po’ di meno, un po’ più distante. Succede. Succedono tante cose, tutte, meno quelle che vorresti e qualcuna che non sai nemmeno se la vuoi davvero. Intanto, lei è ancora lì su quella terrazza e cerca di far arrossire le nuvole strizzando l’occhio al sole: "Del resto, anche le nuvole si sentiranno in imbarazzo, qualche volta", dice, nascondendo la luna in una mano. E un dolce imbarazzo avvolge anche la mia piccola fuga, nel correr via, arrossisco anch’io e non so neppure perché: è successo, in certi pomeriggi d’aprile è così che succede.


12 aprile 2010

qualche volta, né più né meno

Le corde sensible, R.Magritte

Qualche volta ci penso, non succede sempre: qualche volta, né più né meno. Più o meno succede così, qualche volta. Succede che arrivi il vento come quella sera, non una sera qualsiasi: quella sera fredda che piangeva. Arrivi tu. Tu, voglio dire, il vento. Da dove arrivi? Dove abiti adesso e, dimmi, una casa ce l'hai? No, non ce l'hai...almeno credo. Almeno, ti fermi per un po'? In giardino è fiorito il mandorlo e dei suoi fiori ha fatto un letto di nuvola. Solo per te. Continuo a pensarci, tra un sogno e l'altro, tra i petali disfatti d'un letto vuoto. Qualche volta volo via per non pensarci più. Qualche volta, né più né meno.


24 marzo 2010

fuori stagione



Puntuale.
Si presentò in perfetto ritardo e tutto scivolò via come la pioggia tra le labbra.






[il tempo è solo un punto di vista]



9 marzo 2010

Pensiero nudo

Pensiero Metafisico - Rosanna Sabatino


 
Ascolta. Ascolta come tutto è bianco. Ascolta come tutto è immobile, come tutto trema. Ascolta questa musica. Pensavi un pensiero bianco potesse suonare così? Ascolta. Senza muoverti, lascia che tutto questo bianco suoni. Ascolta il suono bianco d'un pensiero nudo scolpito nel ghiaccio. Ascolta queste mani che tremano mentre tutto è immobile. Freddo. Ascoltami mentre tutto è bianco e non riesco a fare a meno di tremare. Ascolta.

 

26 febbraio 2010

improbabili panini da viaggio

In viaggio. Ché non ne posso fare a meno di viaggiare, ché invece che imbottire la valigia dovrei trovare cose da lasciare. E lascio e prendo e lascio e riprendo e perdo. Se perdo ritrovo, quasi sempre. No. Però, però, sul serio, dove vai senza il supplì di vestiti? Un panino, devo infilare un panino nel tascone laterale del borsone e la borsa vintage per l’occasione vien fuori come un coccodrillo. Che ti dice? Mi è andato di traverso un calzino, dice il coccodrillo mangione, sbrigati a partire, sbrigati! E son qua, son qua con un supplì da ingoiare e un coccodrillo da salvare. Piange, piange e ride, piange, ride e piange il coccodrillo ed io sono ancora qua e tu sei là e il coccodrillo s’è infilato con la testa nel supplì. Un supplì al coccodrillo in sottoveste nera. Ho una sottoveste nera? Mah, forse sì, forse no, chissà. La tengo, può far sempre comodo, non si sa mai, magari il coccodrillo vuol mangiare. Sbrigati, sbrigati e scappa via, il coccodrillo ha ancora fame. Vieni di qua, scappa di là e nascondi quel foulard lui non lo sa ma nel panino, insieme ai cetriolini, non sai il sapore che dà. In viaggio. Sì, nella valigia solo fantasia.

13 febbraio 2010

legami






Eppure, non credo sia così complicato farmi un regalo. Il graffio di un gatto geloso, parole da tessere nel sorriso di un pettine insolentemente sdentato e una data da ricamare sopra le righe di un dire da interpretare. No, non credo sia complicato. Non credo neppure lo sia legare tutto con un bel filo rosso. Potresti tenere un capo del filo per te, sarebbe la mia parte di regalo , l'importante è che, poi, il resto lo possa srotolare, l'importante è che io abbia sempre un modo per poterti ritrovare.





Auguri.

Ovunque tu sia,

ammesso ci sia,

nonostante non sia.






[...queste parole hanno una data, non quella di oggi, quella di un 14 febbraio qualsiasi, uno di quei 14 febbraio senza un filo rosso e neppure un gatto geloso che, oltre che graffiare, sappia anche ricamare. Io un gatto così, ancora non l'ho mai visto, ma tu, se lo vedi, non fartelo scappare!]

4 febbraio 2010

L'Amore come dovrebbe...


Mi affido alle parole di S. Agostino ché nulla aggiungerei ai suoi occhi che guardano l'Amore. L'Amore come dovrebbe. L'Amore com'è: per me.



L`Amore (S. Agostino)

Giovane amico se ami per la prima volta,
questo è miracolo della vita.
Entra nel sogno con gli occhi aperti e vivilo con amore fermo.
Il sogno non vissuto è una stella da lasciare in cielo.
Ama la tua donna senza chiedere altro all`infuori
dell`eterna domanda che fa tremare di nostalgia i vecchi cuori.
Ma ricordati che più ti amerà e meno te lo saprà dire.
Guardala negli occhi affinché l`anima tremi
e le veli di una lacrima la pupilla chiara.
Stringile la mano affinché le dita si svincolino
con il disperato desiderio di riunirsi ancora,
e le mani e gli occhi dicano sicure promesse del vostro domani.
Ma ricorda ancora che se i corpi si riflettono negli occhi,
le anime si vedono nelle sventure:
Non sentirti umiliato nel riconoscere una sua qualitàche non possiede.
Non crederti superiore, poiché solo la vita
dirà la vostra diversa ventura.
Non imporre la tua volontà a parole ma soltanto con l`esempio;
ed anche questa sposa tua compagna
di quell`ignoto cammino che è la vita,
amala e difendila poiché domani ti potrà essere di rifugio.
E sii sincero giovane amico: se l`amore sarà forte
ogni destino vi farà sorridere.
Amala come il sole che invochi al mattino,
rispettala come un fiore che attende la luce del mattino,
sii questo per lei e, poiché questo lei deve essere per te
ringrazia Dio che ti ha concesso la grazia più luminosa della vita.

Amore sulla scena, Marc Chagall

 
...e a Chagall sfumature d'emozione che, nonostante il tempo, non mutano d'intensità arricchendosi di tutto quello che l'occhio preso d'amore non serbava nitido nei ricordi lontani.


 
[questo post
è per me
per come dovrebbe
e per com'è
dentro]